lunedì 23 dicembre 2019

Omeopatia e finte cure: cosa possiamo imparare da loro?

L'omeopatia (per chi non sapesse di cosa si tratta può approfondire qui) è una finta cura, nata nell'ottocento, che pretende di curare tutte le malattie con delle caramelle di zucchero. Ha conosciuto un suo momento di gloria verso gli anni '90, forse in risposta all'eccesso di medicine che rischiava (e rischia) di essere un pericolo per tutti. Dopo l'esaltazione iniziale, la sua natura esclusivamente commerciale e l'ovvia inefficacia, hanno ridotto le vendite e la notorietà relegandola a piccolo fenomeno di nicchia. Negli ultimi anni, la consapevolezza dei consumatori e la diffusione dell'informazione corretta hanno ridotto ulteriormente il successo di questa pratica, tanto che le vendite sono ormai ridottissime e le aziende produttrici cercano nuovi spazi commerciali per guadagnare.

Mi batto da anni per far conoscere alle persone la realtà di questa finta medicina, per due motivi principali: il malato non è un limone da spremere è una persona fragile e anche se ha un piccolo disturbo, la bugia e la prescrizione di finte medicine dovrebbero essere proibite sempre e senza eccezioni.
Il secondo motivo è di principio: se lasciamo passare l'idea (per qualcuno "innocente") che una caramella di zucchero possa curare le malattie per motivi magici, apriamo la porta a truffe più grandi. Se può curare la caramella di zucchero può curare anche l'imposizione delle mani, o l'aglio per il cancro o il prezzemolo per le malattie neurodegenerative. Non si può ammettere, nemmeno come "consolazione" che una vera e propria frode diventi medicina.

Questo vale per tutte le cure, anche quelle scientificamente accertate e usate. Una medicina deve curare, più o meno, non per forza sempre ma deve curare in maniera dimostrata, deve essere più utile che dannosa. Il resto sono chiacchiere (spesso interessate al guadagno di soldi).

Ma allora, in un momento di declino e, probabilmente, di prossima sparizione di questa "cura" che cosa possiamo salvare dell'omeopatia?
Perché di ogni cosa, anche la meno bella, dobbiamo ricavarne un insegnamento, un suggerimento.  La stessa cosa vale per le altre cure alternative. Ogni truffa, ogni ciarlataneria ci può dare uno spunto per migliorare la medicina, perché se le persone ci credono, se si affidano (anche solo per disperazione) a queste truffe, un motivo ci sarà e non è sempre chiaro.
C'è chi dice: "se ha un effetto placebo, ovvero causa dei piccoli miglioramenti perché le persone pensano di prendere medicine, perché non usarla? Avremmo un effetto su chi magari non ha malattie e non avremmo gli effetti collaterali o tossici delle medicine".
Idea non stupida ma ci sono molti problemi.
Primo tra tutti è che l'effetto placebo non è controllabile o prevedibile.
Non sappiamo se un finto prodotto possa funzionare poco o tanto, non sappiamo fino a quando possa funzionare e su alcuni non funziona proprio per niente. Che senso avrebbe quindi usare una finta medicina se non ne abbiamo il controllo e non sappiamo nemmeno se possa avere effetti? E perché dovremmo mentire alle persone per ottenere, forse, un effetto?

Altri, visto che un ruolo decisivo nel successo di queste finte cure è il modo di porsi del medico, del guaritore e del suo atteggiamento, indicano un legame proprio nel rapporto tra medico e paziente. L'omeopata parla tanto, chiede tanto, ascolta, perde tempo. Usa parole magiche (succussione, dinamizzazione, memoria dell'acqua...).
Lo nota persino uno studio, gli effetti dell'omeopatia sulle persone sono tanto più presenti quanto è più lunga e accurata la visita dell'omeopata. Questo succede raramente nella medicina. Orari stretti, fretta, personale ridotto, impegni continui, rendono spesso le visite veloci, velocissime, fredde, quasi atti dovuti che non lasciano nessuno spazio all'empatia, alla comprensione, al parlare, capire, ascoltare.

Ecco. Questa è una delle lezioni che possiamo apprendere dalle cure alternative. Un vecchio detto recita: cura più la parola che le medicine. Provare a parlare di più, prima ancora, imparare ad ascoltare. Discutere, arrivare a decisioni condivise, spiegare, ragionare, sono tutti comportamenti non solo doverosi ma che renderebbero (e lo dico proprio perché è il mio lavoro e so di cosa parlo) la medicina non solo più umana ma anche molto più efficace.
Questa probabilmente è una cosa che dobbiamo apprendere dagli omeopati. A questo aggiungerei che le false cure (si chiamano per questo "miracolose") promettono tanto, troppo, l'impossibile: funzionano sempre, senza problemi né effetti collaterali. A parole.

Questo non è giusto, non si possono fare promesse al vento, non è giusto esagerare o dire bugie al paziente tanto per accontentarlo, nemmeno se fosse per dare una speranza. Ma la speranza è una delle facce della disperazione e, soprattutto nelle malattie più gravi, la speranza deve essere sempre l'ultima a morire.
Per questo un'altra lezione che dobbiamo fare nostra e rubare ai ciarlatani è la speranza: anche se fosse poca, anche se fosse ridotta diamola. Non c'è bisogno di bugie, non si deve prendere in giro il paziente: c'è una possibilità? Usiamola, lottiamo assieme, speriamo insieme.
Un altro aspetto che trovo interessante dell'omeopatia è che le teorie magiche di questa pratica (più si diluisce un rimedio più questo sarebbe efficace, non è magia? Oppure la "succussione", battere 100 volte su una Bibbia il rimedio, non è esoterismo?) nonostante siano incredibili e difficilmente proponibili, rendono una pratica paranormale come l'omeopatia una medicina, usata anche negli ospedali, con appoggi e pareri favorevoli incredibili. In parte per non conoscenza ma anche perché affascinante, esattamente come gli oroscopi e i maghi. Questo succede per tutte le false cure, ognuna è miracolosa, magica, inarrivabile: misteriosa.
Questo può farci capire come l'istinto umano sia sempre legato alla speranza, al magico, all'insondabile e quindi la medicina, nella sua razionalità, si trova spesso in una posizione di distanza, di "freddezza", di poca vicinanza all'essere umano.
Imparare a non banalizzare la medicina (ma senza renderla magia), raccontarne i risultati fantastici, quasi miracolosi, può (forse, è un'idea) renderla più "amata", più desiderata. Senza però, ribadisco, renderla magia, attenendosi ai fatti, alle cose oggettive. 

Ma c'è un altra cosa che pochi sanno per la quale dovremmo ringraziare l'omeopatia.
Oggi, la scienza, per dire se un farmaco funziona deve fare degli esperimenti e ogni esperimento pur preciso e corretto, avrà sempre una possibilità di errore. Siamo umani e, anche non volendolo, possiamo commettere errori che però, in campo medico, possono essere molto pericolosi. Nella ricerca ci sono alcuni trucchi, piccoli metodi, procedure, che rendono più bassa la possibilità di sbagliare, che "correggono" le tendenze umane e le dimenticanze, che cercano di distinguere le "impressioni" e le "opinioni" dai fatti, dai dati oggettivi (nella ricerca si chiamano "bias", errori).

Usiamo per questo il placebo (una pillola senza ingredienti) per controllare se l'effetto che notiamo è del farmaco che stiamo testando o è un caso, un effetto non legato al farmaco. Per essere ancora più precisi facciamo l'esperimento senza dire ai soggetti che prendono il farmaco testato se stiamo dando proprio il farmaco o il placebo (si chiama "esperimento in cieco") o, addirittura, nemmeno i medici che somministrano i prodotto da provare, sanno se si tratta proprio di quello o del placebo (si chiama "doppio cieco").
Per evitare che gli effetti del farmaco che testiamo dipendano dalle caratteristiche del paziente (un prodotto, per esempio, potrebbe funzionare maggiormente sugli uomini che sulle donne o sugli anziani rispetto ai giovani) un rimedio potrebbe essere quello di "mescolare" i soggetti che proveranno il farmaco, li "randomizziamo", li mettiamo nei due gruppi (quelli che prendono il farmaco e quelli che prenderanno il placebo) a caso, così i risultati non saranno "guidati".


Ma tutte queste cose come le abbiamo studiate, questi metodi di studio da dove vengono? Dall'esperienza degli scienziati, dalla loro esperienza e, incredibile, proprio da un esperimento che voleva capire se l'omeopatia funzionasse o meno.
Qualcuno forse conoscerà questa storia, abbastanza ordinaria ma straordinaria perché è uno dei primi esempi di studio scientifico condotto secondo criteri precisi e che miravano a diminuire il più possibile gli errori e le influenze dei giudizi personali.

Tutto successe in Bavaria, zona nella quale l'omeopatia, rimedio chic delle classi più agiate, aveva (la storia si ripete) chi la criticava e combatteva. Siamo nel 1835 e l'esperimento si chiamò "il test Nuremberg", in onore della città nella quale si svolse.
Proprio in quella città era rimasto ormai un solo omeopata, Johann Jacob Reuter che rispondeva alle critiche dei medici che non apprezzavano quella forma di stregoneria. L'argomento più forte (che se fate caso lo è ancora oggi) era "non può essere effetto placebo, visto che anche bambini, animali e pazzi ne traggono giovamento" (in realtà "bambini, animali e pazzi" subiscono l'effetto placebo come chiunque).
La medicina era ancora agli albori ma tentava con difficoltà di farsi strada ed iniziava ad usare seriamente il metodo scientifico. Così il primario dell'ospedale di quella città, il dottor Friedrich Wilhelm von Hoven (che per l'occasione cercò di non apparire ufficialmente usando il finto nome di E. F. Wahrhold) criticava l'omeopatia perché restava ferma a idee già sorpassate, dalle quali la medicina voleva liberarsi (la "forza vitale", le energie maligne, le costituzioni, forme primitive di conoscenza).
L'omeopata Reuter non si diede per vinto e propose un test, un esperimento per capire una volta per tutte se quelle caramelline di zucchero fossero medicine o solo un costoso passatempo per ricchi annoiati come sostenevano ormai quasi tutti i medici ma ormai anche la stampa e le autorità. E furono avvertiti proprio le autorità e la stampa locale, ai quali si annunciò che il test si sarebbe svolto nella più grande taverna del centro città.

Von Hoven invitò a provare una diluizione 30CH (la più tipica in omeopatia, dentro non c'è più nessuna traccia di principio attivo) di sale. Normale sale. Chiese ai soggetti sotto test di annotare qualsiasi sensazione, sintomo, problema provassero durante la somministrazione del sale omeopatico. Il "bello" è che l'esperimento fu, in un certo senso, artigianale con 120 partecipanti (alcuni poi esclusi per vari motivi). Furono testati 50 flaconi di sale omeopatico e 50 di acqua distillata e nessuno (né i partecipanti, né gli sperimentatori) sapeva quali flaconi contenevano omeopatia e quali acqua. Insomma, quello che oggi si chiama esperimento in "doppio cieco" (così non ci sarà nessun condizionamento nemmeno da parte degli sperimentatori, anche involontario).
Alla fine dell'esperimento pochissimi dei partecipanti (solo 8 su 50) riferirono sintomi o disturbi particolari. Di loro cinque avevano preso l'omeopatico, tre l'acqua, in pratica tra omeopatia e acqua non c'era nessuna differenza.
Se il risultato è ovvio l'esperienza è interessante.

In questo esperimento possiamo notare che:

1) L'esperimento fu pubblico (oggi si pubblica, per rendere pubblico, ogni esperimento su rivista scientifica). Gli esperimenti segreti o non ben illustrati non sono scientifici.

2) Il metodo, le regole, i limiti dell'esperimento furono illustrati e descritti perfettamente, davanti a tutti. Oggi, nella sezione "materiali e metodi" (nelle pubblicazioni in inglese indicate con il termine "methods", tipica di ogni pubblicazione scientifica, bisogna descrivere perfettamente il metodo usato per l'esperimento, anche per poterlo ripetere o controllare.

3) Sono stati creati due gruppi a caso di persone (randomizzazione), nessuno, né dei partecipanti né degli sperimentatori, conosceva il vero contenuto dei flaconi (doppio cieco) ed è stato usato un placebo (l'acqua distillata). Si tratta di un primitivo esempio di studio scientifico serio. Quello in doppio cieco randomizzato con placebo è un tipo di esperimento considerato di buon livello.

4) Fu creata una statistica dei risultati finali. Non un mero elenco di numeri. Quello che si fa in ogni studio scientifico che si rispetti.

Non è quindi il risultato che deve stupirci ma l'ennesimo insegnamento che ci fornisce la pseudoscienza, la finta medicina che vende caramelle e miracoli come fossero farmaci. Caratteristica dello scienziato è non fermarsi mai, nemmeno davanti a ciò che sembra incredibile. Proprio l'incredibile può riservarci sorprese e uno dei concetti più difficili da capire è che se una falsa cura, che sia il bicarbonato per il cancro o l'omeopatia per il raffreddore, funzionasse, nessuno avrebbe motivi per non usarla.
Se gli esperimenti, la scienza, la ragione, mi dicessero che le caramelle di zucchero guariscono le allergie, perché non dovrei usarle e non dovrebbero usarle tutti i medici?
Se il bicarbonato curasse il cancro, perché non dovrei proporlo ai miei pazienti, a me stesso, ai miei familiari?
Per il motivo più semplice: non funzionano.
Eppure qualcuno, non per forza ignorante, non per forza credulone, ci crede, crede apertamente che una normale caramella di zucchero, sul quale è stata spruzzata acqua all'aroma di fegato di anatra, curi il raffreddore. Ci crede. Perché?

Se esistono le false medicine evidentemente l'essere umano ha bisogno di comprarle, di crederci e di usarle.
Se quindi non è giusto mentire al paziente, trattarlo da stupido o rifilargli finte cure, è bene ricordare che prima di prescrivere una pillola è fondamentale l'ascolto e la parola. E che, prima di sostenere che una cura funzioni, è fondamentale studiarla bene, provarla e testarne gli effetti.
Visto che di ogni cosa, anche la peggiore, è bene farne esperienza costruttiva e positiva, facciamolo anche con l'omeopatia e le ciarlatanerie.
Per concludere, se è vero che non bisogna mai abbassare la guardia nei confronti di chi si approfitta delle fragilità del prossimo, bisogna anche usare queste cose (che esistono, sono sempre esistite) per migliorarsi. Il mondo delle false cure ci può dare molti spunti per migliorare quello della medicina, soprattutto nel rapporto con i pazienti.
Non imitiamo furbizie, trucchi e giochi di parole ma usiamoli come chiavi per capire perché, con questi, si riesce a convincere chi si ha di fronte, a volte contro ogni evidenza e buon senso.

Una cosa che invece gli omeopati e tutti coloro che usano false cure dovrebbero apprendere dalla medicina è chiara: il paziente è sacro e truffarlo è disonesto.

Alla prossima.

Ne approfitto per augurare a tutti i lettori di trascorrere delle buone festività. Relax, pensieri positivi e costruttivi. Un abbraccio a tutti.