lunedì 19 gennaio 2015

Lo sguardo perso nel vuoto

Gli orrori della guerra sono sotto gli occhi di tutti, c'è chi l'ha vissuta in prima persona e chi ne ascolta i racconti, chi la vede solo in televisione e chi ne legge gli sviluppi sui giornali, la prima banalità è che la guerra è sempre un dramma, che distrugge persone, luoghi, affetti e storie, la seconda è che, nonostante la "banalità" del concetto, l'uomo continua a farla.

La guerra causa ferite del corpo e della psiche ed una delle sue conseguenze più lampanti sono le cicatrici fisiche, perché si vedono, trasformano e debilitano ma c'è un'altra conseguenza meno nota e spesso non raccontata, è quella psichica, le cicatrici nella mente che una guerra lascia in chi l'ha combattuta. Orribili perché mostrano cosa significhi annullare la propria persona per essere uno soldato tra tanti, cosa comporta il combattere i propri simili e cosa resta di una tragedia dopo la sua conclusione.
Le conseguenze psichiche di un conflitto nei militari che vi hanno partecipato sono da sempre oggetto di studi e ricerche, sono spesso conseguenze di tipo "post traumatico", derivanti dalle lunghe giornate in attesa di un attacco (da fare o ricevere), dall'attesa di un ordine in condizioni precarie e dalla visione quotidiana della morte e della sofferenza, dal continuo stress dei bombardamenti, spesso lo stress è consapevole, si legge nelle parole di chi la comunica ai propri cari, traspare dalle lettere che i militari inviano ed inviavano ancora di più (era l'unico mezzo di comunicazione) nelle guerre passate a casa, coscienti del fatto che al loro ritorno (se mai fosse avvenuto) non sarebbero stati gli stessi, ridotti ormai a strumenti di guerra e burattini del potere. Le caratteristiche del disturbo post traumatico da stress bellico (possiamo definire così l'insieme dei disturbi dei militari che hanno partecipato attivamente ad operazioni di guerra riportando disturbi psichiatrici o psicologici) sono abbastanza simili nel tempo. Quelli osservati durante e dopo i due grandi conflitti (la prima e la seconda guerra mondiale) sono simili a quelli delle guerre più recenti e sono simili nei vari eserciti impegnati, si è notata invece una differenza nell'impatto che ha il problema nelle varie società, mostrando quindi una variabilità di tipo culturale. In Inghilterra, ad esempio, la sindrome ha avuto un fortissimo impatto sociale sull'opinione pubblica ed ha cambiato la percezione della guerra nella popolazione, da grandioso strumento di dominio a pericoloso strumento di morte, in altre nazioni (Belgio, ad esempio) si è trattato il problema marginalmente e sono pochi di documenti e le testimonianze diffuse tra la popolazione.

I documenti risalenti alle prime osservazioni della sindrome, relativi alla prima guerra mondiale, sono importantissimi proprio per le caratteristiche di quel conflitto, molto più "di contatto" e "umano" di quelli odierni che prevedono raramente dei combattimenti "corpo a corpo" ed esistono anche in rete molti video che dimostrano la drammaticità del disturbo (come qui e qui, attenzione, possono turbare i più sensibili).

Lo sguardo perso nel vuoto
Oggi, il vantaggio di terapie mirate e più efficaci consente un recupero che in passato era spesso impossibile e condannava i "traumatizzati" ad un eterna discesa nell'inferno della follia. Un altro aspetto dei trattamenti passati, infatti (dei quali esistono diverse testimonianze video e dei quali parlò anche Sigmund Freud), era che molti dei soldati colpiti dalla sindrome erano considerati dei "simulatori", delle persone che fingevano per essere ricoverate ed evitare quindi le trincee e per questo anche i tentativi di recupero erano spesso tardivi, superficiali, poco attenti, tanto da essere considerati per certi versi "punitivi", correttivi nei confronti di "codardi" e finti malati. I metodi di recupero erano quindi violenti, dolorosi, minacciosi. Si ricorreva spesso all'elettroshock e qualche beneficio si otteneva più per la paura, da parte del soldato, di rivivere i dolori che per effettiva efficacia.

In medicina si chiama "shell shock syndrome", la sindrome da shock da bombardamento che oggi indica genericamente una psicosi che segue un forte stress ed il termine fu coniato nel 1915 quando fu usato in una pubblicazione scientifica sul tema.
Lo sguardo perso nel vuoto, in inglese "thousand yard stare" ("sguardo a migliaia di metri", termine diventato popolare dopo un disegno apparso in un giornale americano) è la prima cosa che ha colpito chi ha osservato questi soldati. Definito come uno sguardo sfuocato, fisso, vuoto, distante, il soldato con la sindrome presenta spesso questo sintomo che è accompagnato da altri disturbi che, se possibile, sono anche più drammatici. Tic nervosi, allucinazioni, convulsioni, movimenti ripetitivi e spasmodici, spasmi del viso e del corpo, assistere alle crisi di un paziente con questo disturbo è il riassunto del dramma vissuto, della paura, la solitudine e l'alienazione militare in guerra. I sintomi possono presentarsi in maniera isolata o assieme, possono comparire in certi momenti della giornata (la notte, durante il sonno, quando si cammina) o continuamente. In alcuni soldati si assisteva ad una deambulazione che mimava la marcia, un rigido movimento impossibile da evitare. Altri sparano nel vuoto, con le mani, ad occhi chiusi. Altri piangono, urlano, gridano, mimano il lancio di una granata.
Tutti sono dissociati dalla realtà, alternano momenti di profonda frustrazione ad altri di esaltazione e la reintegrazione in società o in famiglia è molto complicata se non impossibile.


Inizialmente i medici tendevano a dividere in due classi i soldati che soffrivano di questi disturbi. Per loro bisognava definire "fisicamente colpiti" coloro che erano stati esposti direttamente ad esplosioni, bombardamenti, crolli o scuotimenti violenti. Per alcuni studiosi infatti, i sintomi potevano essere dovuti alla "concussione" (scuotimento) del corpo e della scatola cranica del soldato esposto. Per altri studiosi invece non vi era necessità di "trauma fisico" diretto per causare la sintomatologia ed oggi la conoscenza del problema è abbastanza chiara nel definire questo disturbo non come "trauma fisico" ma come trauma psicologico, cosa che è evidente anche per il fatto che sono diversi i militari che soffrono della sindrome anche se non sono stati esposti direttamente ad esplosioni o traumi fisici.
Per l'elevato numero di pazienti furono interi ospedali ad essere attrezzati per trattare i colpiti dal disturbo ed in Francia, fino al 1960, era possibile trovare sopravvissuti al primo conflitto mondiale, ancora sofferenti per le conseguenze psicologiche della guerra. Casi numerosi anche in occasione delle altre guerre, compresa la guerra del Vietnam e le varie guerre in medio oriente e casi presenti anche nelle fila delle nostre truppe impegnate in combattimenti passati e presenti.
La sindrome post traumatica, infatti, è presente ancora oggi.
Lo sguardo perso nel vuoto. Soldato italiano in Afghanistan.
Nonostante il recupero (o il tentativo di recupero) molti soldati hanno ricadute o presentano alterazioni psicologiche difficilmente controllabili ma nonostante questo molti dei ricoverati per la sindrome, recuperati, sono stati rimandati al fronte per riprendere i combattimenti e per questo molti eserciti (statunitense, per esempio) prevedono unità di sostegno psicologico sul campo per trattare immediatamente i soggetti a rischio, sul posto.
Dopo la prima guerra mondiale i casi furono centinaia, alcuni gravissimi, tanto che la figura del "pazzo di guerra" (in Italia "scemo di guerra") era abituale e ben conosciuta, quasi una classe sociale che impegnò molti psichiatri nello studio del trattamento più utile. Oggi vi è più consapevolezza del benessere dei militari (per quanto possibile...) e del loro recupero post guerra che non è per niente semplice e che resta sempre un difficile ritorno alla normalità dopo aver vissuto l'inferno.

Un motivo in più per considerare inutile e pericolosa la guerra, in qualsiasi sua forma.

Alla prossima.


Bibliografia:

La pagina di Wikipedia inglese, ben fatta, sull'argomento.

La pagina sul tema dell'American Psychological Association.

sabato 3 gennaio 2015

Omeopatia: provare per non credere.

Ho parlato tante volte di omeopatia e della sua assoluta inconsistenza scientifica e medica, ma, se non superficialmente, non ho mai raccontato alcuni particolari che credo sia il caso di conoscere per completare l'informazione sul tema.
Sappiamo che la teoria omeopatica, risalente all'ottocento, non è mai stata dimostrata a suo tempo ed è stata anzi smentita con gli anni, quando le leggi della fisica e della chimica hanno soppiantato i "teoremi" medioevali degli albori della medicina, sappiamo anche che l'omeopatia sostiene che diluire continuamente una sostanza, invece di renderla inoffensiva e senza effetti ne aumenterebbe le "capacità" curative e che questa vecchia superstizione, proprio grazie alle scoperte scientifiche venute negli anni, è stata smentita e relegata a memoria storica di una medicina del passato, quando la medicina...non c'era.
Chi segue il blog o chi si è interessato personalmente, saprà già di cosa si parla quando si tratta di omeopatia.

Un prodotto omeopatico diluito più di 12 volte, in linguaggio omeopatico si dice di diluizione superiore alla 12 CH (per "CH" si intende "diluizione centesimale di Hahnemann"), non contiene nessuna traccia del principio attivo iniziale. Il prodotto omeopatico quindi, si può definire, senza possibilità di smentita, semplice "zucchero" (se la "pillola" è fatta di zucchero) o "acqua" (se il prodotto è fatto di acqua). Nessuna persona al mondo potrà smentirlo, è un dato di fatto.
Un'altra credenza dell'omeopatia sostiene che per curare una malattia bisognerà farlo con una sostanza che in un uomo provoca gli stessi sintomi della malattia. Per fare un esempio: l'insonnia (il cui sintomo è il "restare svegli") si curerebbe con qualcosa che fa restare svegli (per esempio il caffè), il prurito si cura con qualcosa che provoca il prurito, la nausea con un prodotto che provoca nausea e così via e per questo l'inventore dell'omeopatia "ideò" la diluzione: la maggioranza dei prodotti da usare per il suo scopo erano tossici o letali, bisognava quindi renderli inoffensivi. Quale modo migliore se non quello di farli sparire? Così Hahnemann penso di diluirli talmente tanto da farli scomparire, di loro resta solo il "ricordo", una magia oggi insostenibile e giustificabile solo nella sua epoca, quando non si conoscevano nemmeno le basi della scienza.

Ma ecco che a questo proposito c'è un altro particolare che pochi conoscono e che qui ho raccontato solo brevemente: come si fa a capire il prodotto più adatto per ogni persona? Si chiama "proving", è la tecnica che permette di trovare la sostanza omeopatica più adatta per un determinato disturbo.
Come qualcuno saprà l'omeopatia si vanta di "personalizzare" al massimo i suoi trattamenti, non esiste "la cura per tutti i pruriti" ma la cura per "il prurito di quella persona". In teoria l'idea è pure affascinante, ma in pratica questo non succede mai.
Oltre al fatto che i prodotti omeopatici si comprano in farmacia (ed il farmacista non si mette certo a testare per settimane il prodotto sul cliente), oltre al fatto che ogni rimedio dovrebbe essere provato personalmente su ogni paziente e su ogni suo sintomo, è la stessa ipotesi che nasce in maniera davvero curiosa come del resto tutto ciò che caratterizza l'omeopatia, giustificando la definizione di stregoneria, data dai medici inglesi.


Il proving

Il proving è il metodo che consente di "testare" (provare...appunto) un rimedio omeopatico in una persona. In base alle reazioni del soggetto che "testa" il prodotto (ai sintomi che dice di provare dopo aver assunto quel rimedio), l'omeopata saprà per cosa può servire il rimedio omeopatico. Facciamo ancora un esempio.
Se voglio provare la caffeina omeopatica, la somministrerò ad una persona. Questa annoterà in un foglio ciò che prova dopo averla assunta, per esempio ansia, caldo, distrazione, senso di vuoto (esempi a caso).
L'omeopata saprà quindi che la caffeina servirà a curare quei sintomi.
Non credo servano tante parole per spiegare che quei sintomi (le reazioni alla caffeina) sono completamente soggettivi, possono dipendere da tanti fattori e soprattutto, essendo ciò che l'individuo in "proving" assume soltanto zucchero, probabilmente si tratta di reazioni casuali, non dipendenti cioè da quanto assunto (tanto da essere diversi da un individuo all'altro).
L'omeopatia fa "provare" di tutto, qualsiasi sostanza può essere oggetto di "proving" perché qualsiasi sostanza (anche ciò che non è una "sostanza", come l'elettricità o la luce) può diventare un rimedio omeopatico.
Così si assiste a prove sinceramente ridicole quando non assurde.
Questo è uno dei fattori per i quali la possibilità (esistente in qualsiasi professione) che vi siano omeopati "seri" o "meno seri" è campata in aria. Sarebbe come sostenere che esistono astrologi "seri" e "meno seri", se l'intera teoria ed ipotesi su cui si basa un mestiere è una superstizione, un fenomeno paranormale, la serietà è la prima cosa che può essere scartata con sicurezza.
Il proving così riguarderà gli elementi più comuni, la caffeina, appunto o  altre come l'arnica o il gelsomino, ma la vera natura dell'omeopatia è forse più chiara quando scopriamo che sono "testabili" e quindi somministrabili elementi che ricordano le pozioni magiche delle streghe d'altri tempi, come l'acqua, l'elettricità, la luce (si espone il soggetto alla luce e si annota ciò che prova, quelli saranno i sintomi curabili con la..."luce omeopatica"), le lacrime, il chiaro di Luna e le note musicali e si arriva a prove irragionevoli quando non rivoltanti, come il sangue di un soggetto con AIDS (naturalmente omeopatico, non c'è nessuna molecola di sangue in quell'intruglio), un preservativo, una zecca, mestruazioni o addirittura un buco nero. Sono talmente assurdi i rimedi omeopatici che, quando descrissi quelli di un prodotto omeopatico in un mio vecchio articolo, intervenne nei commenti l'addetto stampa dell'azienda offeso perché aveva scambiato il mio elenco di "ingredienti" (tra i quali ghiandole di rospo e veleno di serpente, scritto anche sulla confezione) per una "battuta ironica": non riusciva a crederci neanche lui!

Ci siamo?

Il soggetto in "proving" annota tutti i sintomi che prova assumendo il rimedio e consegna tutto all'omeopata che li usa di conseguenza, se una sostanza provoca ansia, l'omeopata lo somministrerà per l'ansia (come ho scritto prima per l'omeopatia la malattia si cura con qualcosa che provoca gli stessi disturbi) se il soggetto prova agitazione il rimedio sarà prescritto per questo disturbo.
Sappiamo che l'omeopatia è una pratica senza base scientifica, ma conoscendola meglio emergono gli aspetti che la rendono una vera e propria pratica magica, stregonesca.
In ogni caso, a prescindere dalle "stranezze" del proving, sappiamo che di quelle sostanze non assumeremo nulla, è nella stessa natura dell'omeopatia. Perché quindi compiere questi "riti"? Proprio per rendere il gioco magico più "misterioso", più "potente" ed esoterico, pensare che assumiamo i "poteri magici" di una zecca può avere il suo effetto sui soggetti più condizionabili ma nessun timore, non si assumerà nemmeno una molecola di quella zecca, grazie all'estrema diluizione dei rimedi omeopatici la pallina di "medicinale" conterrà solo zucchero, puro.
Era qui che volevo arrivare, le diluizioni.
La più comune è quella di cui si parlava all'inizio, la centesimale di Hahnemann (l'inventore dell'omeopatia) che si indica con la lettera CH (30CH significa trentesima diluizione centesimale di Hahnemann). Ne esistono altre meno diffuse, la DH (diluizione decimale di Hahnemann, ovvero il principio attivo non si diluisce in 100 parti come nella centesimale ma in 10 parti di acqua) e la "korsakoviana" (si indica con K, prende il nome dal suo inventore, il russo Semen Korsakov).

La diluizione korsakoviana, ovvero: ma ci prendete in giro?

Riassumo brevemente la diluzione classica dell'omeopatia (la centesimale Hahnemaniana).
Si parte dal principio attivo. Di questo si prende una goccia e la si versa in un bicchiere con 99 ml. di acqua (avremo quindi una soluzione composta da 99 parti di acqua e una di principio attivo, totale 100 ml., questa è la prima diluizione, 1CH). Si prende una goccia da questo bicchiere e si versa in un secondo bicchiere con 99 ml di acqua (ecco la seconda diluizione, 2CH, 99 parti di acqua ed una parte di principio attivo già diluito la prima volta) e si continua così, una goccia in un bicchiere con 99 ml di acqua e così via. La 12ma volta che compiamo questo gesto il principio attivo sarà sparito, per semplici leggi della chimica e della fisica (vedi numero di Avogadro).
Anche qui spero di essermi spiegato bene.

Ma gli omeopati non si accontentano di vendere un prodotto nel quale non è contenuto nulla, devono necessariamente esagerare. Così il dott. Korsakov pensò bene di trovare un modo più pittoresco per preparare i rimedi omeopatici.
Ripartiamo dall'inizio e stavolta diluiamo il principio attivo con il metodo "korsakoviano".

Si prende una goccia del principio attivo e si aggiunge a 99 ml. d'acqua, come nel metodo Hahnemaniano. Si svuota quel bicchiere (si svuota, tutto, si butta il contenuto del bicchiere) e si riempie di nuovo di acqua. Si svuota nuovamente e si riempie...si svuota e si riempie ancora di acqua e così via, fino al numero di "svuotamenti" necessari, 10.000 ed anche 100.000. Si chiama "diluizione korsakoviana", indicata con la lettera K (o CK). Importante sottolineare che ad ogni diluizione (di qualsiasi tipo essa sia), il bicchiere "omeopatico" va battuto cento volte sopra un libro (si diceva la Bibbia, ma oggi si usa un libro qualsiasi), alcuni non usano libri ma tappetini di gomma, altri lo fanno con delle macchine, altri manualmente, insomma, come si vuole, tanto non cambia nulla è solo parte del rito magico.
Dopo tutto questo lavoraccio di bicchieri svuotati otterremo naturalmente un bicchiere finale pieno d'acqua, senza alcun principio attivo, battuto sopra un libro o su qualsiasi altra cosa.
Una goccia di quell'acqua è spruzzata su una pallina di zucchero, l'acqua evapora e le palline di zucchero (normali caramelline da 1 grammo ciascuna) sono confezionate e messe in vendita (al prezzo di circa 1000 euro al chilo).
Uno dei rimedi omeopatici più noti, l'Oscillococcinum, è preparato così, con un bicchiere svuotato e riempito 200 volte (infatti nella confezione è indicato 200K). Troppo strano per essere vero? Eppure è così. Informarsi per credere, anzi, per non crederci più e così rompere la magia. D'altronde è lo stesso inventore dell'omeopatia a dircelo:
"Talvolta si sente dire che l’omeopatia funziona se ci si crede: questa non è una banalità, è una realtà che indica la modalità d’azione del medicinale omeopatico". Samuel Hahnemann, inventore dell'omeopatia.

Ora, se vendere un prodotto preparato in questo modo è pura furbizia commerciale, comprarlo è pura stupidità consumistica.
Il marketing delle multinazionali omeopatiche è tanto sottile ed abile che riesce a rifilarci il nulla senza che noi ce ne rendiamo conto.

Dopo queste brevi spiegazioni chi è affezionato all'omeopatia, sa cosa sta comprando (e cosa gli vogliono rifilare) e resta sempre il mio invito per i più testardi: se pensate che in un granulo omeopatico (oltre la 12CH) ci sia qualcosa oltre allo zucchero di cui è composto fatelo analizzare.
Conclusione: funziona? No, per la scienza e la logica non può funzionare, lo sappiamo perché conosciamo come funzionano le leggi che governano ciò che ci circonda: una caramella di zucchero può essere piacevole per il palato ma non serve a curare nessuna malattia e gli studi lo hanno confermato ma qualcuno dice "su di me ha avuto effetto".
Bisognerebbe prima di tutto chiedersi come abbia fatto una pallina di solo zucchero ad avere effetto curativo, ma non importa, l'importante è il risultato e soprattutto rendersi conto di aver speso soldi ed aver comprato un prodotto che non contiene nulla, fabbricato svuotando continuamente dei bicchieri d'acqua, battuto su un libro (o su quello che si vuole, a scelta), spruzzato su una caramella e che costa una fortuna.
Ora, se è corretto sostenere che l'omeopatia non funziona dal punto di vista scientifico è obbligatorio sottolineare che dal punto di vista scientifico, dire che funziona, è da stupidi.
Il resto sono chiacchiere, interessanti, affascinanti, ma chiacchiere,  non scienza.

Insomma: "La mente è come un paracadute, non serve se non si apre, ma non tanto da perdere il cervello" (doppia cit. nonsodichi).

Alla prossima.