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lunedì 28 febbraio 2022

Burn Out

"I medici sono stanchi", "chi lavora in ospedale non ce la fa più...".

Cosa significa che un medico è "stanco"? Chiunque lavori probabilmente a fine giornata sarà stanco. E perché chi ha a che fare con la salute può esserlo di più?

Burn out, letteralmente "bruciato", "esaurito".
Ci sono centinaia di studi che analizzano questa condizione psicofisica legata al lavoro. In particolare per chi lavora con le persone malate il burn out è legato a vari fattori. Presa in carico di storie drammatiche, relazioni difficili, responsabilità enormi, tentativo di nascondere le proprie emozioni, ripensamenti, visione di vicende impressionanti, emozioni intense. Senza dimenticare un ambiente ostile, superiori aggressivi, mancanza di sostegno professionale.
Tutto questo, tutto il giorno e tutti i giorni può stancare, oltre che fisicamente, anche psicologicamente. Certamente il rischio di burn out può essere legato alla tipologia di pazienti che si affrontano (con disagi personali o coniugali, idee paranoiche, sintomi depressivi). Ormai non sono rari gli ospedali che prevedono la figura dello psicologo per i lavoratori e non sono rari i sanitari che vi ricorrono o sono anche costretti ad assentarsi per quello che una volta si chiamava "esaurimento nervoso".
Certamente non si deve generalizzare. Quasi sempre, se parliamo del lavoro del medico, chi ha scelto di fare questo lavoro era fortemente motivato al momento della scelta che si sa già dall'inizio essere particolarmente impegnativa. Si sceglie di stare lì ma è anche vero che non tutti hanno le stesse caratteristiche psicofisiche e la vita crea momenti di debolezza e fragilità, quindi pensare che "bisognava pensarci prima" non è sempre una risposta.

Chi è in burn out ha anche sintomi precisi e spesso visibili che possono essere anche difficili da cogliere. Segni di "depersonalizzazione", atteggiamenti negativi o apparente cinismo possono essere sintomi evidenti di burn out professionale. Gli studi sul tema evidenziano come questa sindrome sia più frequente in sanitari che lavorano nelle specialità chirurgiche o di urgenza (anestesisti, ortopedici, ginecologi, chirurghi) e arriva a colpire il 60% dei sanitari, per questo alcuni la definiscono "l'epidemia fantasma". Ovviamente non è solo quello della salute il campo nel quale si può manifestare questa sindrome ma sembrano più colpite le professioni che prevedono relazioni interpersonali (per esempio anche gli assistenti sociali, infermieri, psicologi e gli esponenti delle forze dell'ordine).


Il burn out è spesso associato ad aumento del rischio di dipendenze da alcol e droghe, aumenta il tasso di divorzi, suicidi e violenze domestiche.
Ci sono sicuramente correlazioni tra il rischio di burn out e il frequente eccesso di carico di lavoro per i sanitari. Come si può immaginare può essere frequente che, per motivi di emergenza o di routine, un medico faccia più turni del dovuto o semplicemente si intrattenga oltre l'orario di servizio. Se pensate che molte specialità prevedono (in ospedale) turni di 12 ore, intrattenersi per ulteriori 2-3 ore significa stare tutto il giorno fuori, tornare a casa per dormire e, probabilmente, l'indomani ricominciare. Sono ritmi spesso insostenibili, a maggior ragione con l'aumento dell'età media dei medici che lavorano (per esempio) nel nostro SSN. Ci sono altri problemi.
L'utenza nel tempo è diventata più aggressiva, molti accessi nei reparti di emergenza (pronto soccorso, per esempio) sono impropri e impegnano larga parte della giornata stancando e prosciugando risorse, troppo tempo speso in burocrazia spesso ripetuta, ridondante, eccessiva (pensate che esistono cartelle cliniche con più documenti burocratici che esami clinici!), mancato riconoscimento sociale del lavoro e tanto altro.
Per chi fa lavori usuranti il burn out è sempre in agguato.
In questo periodo di pandemia gli episodi di burn out sono certamente stati quasi sempre legati proprio a questo, all'eccesso di lavoro o alla fatica del contrasto all'emergenza, ai timori di fronte a una nuova, travolgente malattia. Un'indagine spagnola ha confermato che il 60% dei medici (in questo caso internisti) ha sofferto di burn out e i motivi più citati sono stati l'eccessivo carico di lavoro (cura del paziente che, come sappiamo nel periodo Covid è stata molto impegnativa) e la mancanza di sistemi di sicurezza e protezione (il timore di essere esposti a rischi ovviamente aumenta il livello di stress). A tutto questo aggiungiamo l'impegno che già deve sostenere professionalmente un lavoratore ospedaliero (medici e infermieri soprattutto), ambiente nel quale esiste molta competizione, spesso insoddisfazione e poco contatto con i responsabili ai vertici delle aziende con conseguente sensazione di avere pochi riconoscimenti dei propri sforzi.

Se dovessi aggiungere due righe di esperienza personale posso aggiungere che è quasi inevitabile, per chi lavora con la salute delle persone, sentire il peso, spesso enorme, della responsabilità, il pensiero di ciò che si è visto, i dubbi, le paure, gli errori reali o potenziali, la stanchezza fisica che è spesso enorme (ovviamente tutto cambia da una specialità medica all'altra). Chi fa questo lavoro sa di cosa sto parlando. La frase quasi proverbiale del "portarsi il lavoro a casa" può avere conseguenze devastanti sul lavoratore ma anche sulla sua famiglia. Tutto questo è associato (come ho scritto prima) a un lavoro aggiuntivo che toglie tutto al lavoro ideale del medico (burocrazia, certificati, consensi informati, cartelle, lettere, schede di dimissione, richieste e altro) che nel mondo reale rischia di impiegare la maggior parte del tempo di lavoro ad atti burocratici lasciando alla cura del paziente dei ritagli di tempo, dando origine a una frase che sempre più si ripete tra medici: "non è questo il lavoro che ho scelto". Un esempio specifico può essere relativo alla professione di infermiere, totalmente rivoluzionata negli anni, professionalizzata, l'infermiere oggi è un vero professionista della salute, non un mero esecutore di ordini come in passato. Partecipa (e spesso decide) la cura. Questo nella pratica può non essere vero. La routine, la velocità richiesta, le urgenze, la burocrazia, cancellano ogni forma di indipendenza rendendo automatico e meccanico il suo lavoro, creando così una categoria di persone non soddisfatte, che non fanno ciò che volevano fare.

Il problema, apparentemente secondario, è serio. Il lavoratore affetto da burn out rende di meno, sbaglia di più, lavora male e fa lavorare male gli altri, non è utile né al paziente, né ai colleghi e nemmeno a se stesso.

Il burn out conduce spesso al peggioramento dell'atteggiamento sul lavoro, a una vera e propria psicosi (chiamata la "sindrome della seconda vittima", ovvero il medico autore di un errore vive talmente male la colpa da diventarne anch'esso vittima). Questo disturbo, ben conosciuto, ha un decorso classico e segue gravi errori o incidenti di tipo medico. Nell'evoluzione tipica, dopo l'evento, il lavoratore si chiede come possa essere avvenuto il fatto e se si poteva prevedere, cosa pensino gli altri di lui e di quello che è accaduto, se questo comporterà conseguenze, denunce, licenziamenti, se l'evento diventasse di dominio pubblico si tende alla fuga, alla ricerca di anonimato, fino a un vero e proprio stato depressivo. È ben documentato il fatto che questioni legali conseguenti a errori medici, più che ridurli o "migliorarne l'esito" conduce a maggiori problemi ed errori, perché rendono gli autori dei presunti errori ancora più insicuri e dubbiosi, tanto che qualcuno ha detto che quei medici diventano a loro volta pazienti nell'indifferenza generale. Argomento complicato, come si vede, però sicuramente da approfondire e interessante.
La presa in carico coinvolge l'aspetto psicologico ma anche il sostegno dei colleghi di lavoro, l'aiuto degli altri e dell'ambiente circostante.

Insomma, qualcosa da non sottovalutare.
Per questo bisogna prendere atto del problema è, invece di nasconderlo, parlarne e affrontarlo. 

Alla prossima.

lunedì 7 febbraio 2022

Lettera a chi non si è vaccinato (per scelta).

Leggo di alcuni non vaccinati per scelta che si lamentano di essere stati esclusi, da parenti e amici, disprezzati, evitati. Lo fanno con un velo di tristezza ma sono anche amareggiati, vogliono rifarsi, si sentono offesi.

Credo che quando succede non si faccia per la mancanza di vaccinazione ma perché spesso le persone che hanno rifiutato il vaccino sono ormai chiuse in un tunnel buio simile a una setta. Discutono tra di loro, leggono le stesse cose, seguono quei tre o quattro personaggi (tutti bizzarri, fuori di testa quando non veri e propri ciarlatani) e sono quindi imbottiti di falsa informazione, bufale, notizie inventate.

Se ho a che fare con una persona che mi dice “guarda, non mi sono vaccinato perché ho il terrore degli aghi” io capirei, magari cercherei di ragionare e se ne potrebbe parlare serenamente ma se discuti con chi mi dice che i medici uccidono le persone, che nel vaccino c’è il microchip e a ottobre moriremo tutti c’è poco da discutere.

Alzi le spalle e vai avanti.

Non puoi passare una serata piacevole e rilassante con uno che parla come un esagitato, un fondamentalista religioso. Non piace a nessuno.

E certo non inviti a cena una persona del genere, perché oltre al rischio di contagio fa discorsi pesanti, inutili, parla come un esagitato, proprio come il seguace di una setta. Lo so, qualcuno di voi crede davvero che nei vaccini ci siano strane sostanze pericolose ma non è vero. Come non è vero che negli ospedali i medici uccidono i malati di CoViD. Non è vero che ci sono cure nascoste o che i vaccini abbiano causato effetti collaterali gravissimi, ne abbiamo somministrati miliardi. Non centinaia, miliardi e abbiamo probabilmente salvato centinaia di migliaia di vite umane. Che la vaccinazione anti-Covid sia un dramma ve lo hanno inculcato dei furbastri (e qualche ignorante, ce ne sono purtroppo tanti anche tra i medici) che vi hanno usato per i loro scopi. A volte politici, altre volte economici o di puro interesse personale, vi hanno usato come piedistallo per farsi sentire. I vaccini sono sicuri, controllati, efficaci, utili, avere paura può essere umano perché le cose che non conosciamo ci fanno paura ma è ingiustificato. Esagerato.

Una persona cara purtroppo morta? Un incidente? Una tragedia? No, sono persone che parlano di parenti che si sono vaccinati.

non è vero che il CoViD è un’influenza, spesso è dura ma poi passa, quasi sempre ce la facciamo ma a volte è veramente terribile. Io le ho viste le persone distrutte dalla malattia, ho visto morire, soffocare, piangere, le ho viste ed erano tante.
Ne sono rimasto colpito e non lo dimenticherò mai. Dovete fidarvi. La salute, il progresso, il benessere, non ce l’hanno dato i maghi o i rivoluzionari da salotto ma la scienza, la medicina. È così, fidatevi.

In questa mia riflessione, garantito, non c’è nessun intento polemico, nessuna rabbia, solo il tentativo di capire queste persone. Io consiglio la vaccinazione, è sicura, efficace ed è uno scudo serio alla malattia. Fatela. Non volete? Per motivi vostri? E va bene, liberi di farlo, ci mancherebbe. Ma non vi stupite se altri restano allibiti e si annoiano quando sentono parlare di “siero”, “inoculati” o “cacchini”. È noioso, esagerato. Mi sembra semplicemente che spesso vogliate solo “giustificarvi” con gli altri e quindi, visto che di giustificazioni “serie” e comprensibili ce ne sono poche, esageriate.

Lo dico perché tra i pochi che non si sono vaccinati sono ancora di meno quelli violenti o “pazzi”, sono pochissimi. La maggioranza sono persone (magari fragili) che sono state plagiate da estremisti, giornalisti furbi, ciarlatani. Fate caso a chi sono i vostri “rappresentati”: attori passati di moda, cantanti da piazza di paese, medici falliti, una serie di personaggi da film. A chi fa piacere avere accanto uno che si lamenta della “dittatura” (quando le dittature sono ben altro), che dice che il vaccino rende magnetici o contiene grafene. A nessuno. Viviamo già tempi duri ci vuole solo quello che ti annoia con le cose più strampalate.

Ecco.

Provate a essere coscienti delle vostre scelte, non nominate più (se fosse per me vi direi non ascoltateli più) i capipopolo, i ciarlatani, i siti web che vendono integratori o chi vi racconta di complotti e segreti.

Avete scelto? Bene, prima o poi ne usciremo fuori, speriamo bene e tutto passerà.

Cercate di capire, voi che chiedete di essere capiti, che si ha paura di questa malattia e chi non è vaccinato presenta un rischio maggiore di contagiare, se quindi per strada due chiacchiere a distanza vanno bene, chiusi a casa si rischia, due ore in una stanza si rischia, meglio evitare. Sono precauzioni. Buon senso, educazione, rispetto. Lo dicevamo anche per l’influenza. Ricordate? Mai troppo tempo al chiuso, aerare gli ambienti, igiene delle mani, se si è influenzati state a casa e vaccinatevi. Era ovvio ed è ovvio anche oggi. Quando avevo l’influenza chiedevo ai miei famigliari di starmi lontano. Ovvio.

Voi fate le vostre scelte e rispettate le scelte degli altri..

Vedrete che starete meglio.

Staremo meglio.

In bocca al lupo.


[aggiornato dopo la pubblicazione iniziale]

mercoledì 2 febbraio 2022

C'è chi si ferma al titolo.

No, non del giornale.
Sembra che gli italiani impazziscano per i titoli: accademici, nobiliari, scientifici, professionali.
Meglio se pomposi. Qualcuno sostiene (ma forse è solo un'ipotesi campata in aria) che questa caratteristica (in effetti molto italica, almeno per quanto ho notato viaggiando e discutendo con colleghi di altri paesi) derivi dalla presenza degli spagnoli nel nostro territorio, anch'essi amanti dei titoli e pieni di abbellimenti al loro nome. Altri sostengono che questa abitudine di considerare le persone da quanto rendano "grosso" il loro nome derivi dalla repubblica veneziana, dove non si usava nessun titolo e i ricchi e i potenti erano semplicemente chiamati "nobil uomo" o "nobil donna".
Così nel tempo si fece strada l'abitudine di differenziarsi dalla "plebe" mostrando le proprie credenziali: "dottore", "professore", "gran maestro", "cavaliere" e così via.

Abitudine che esiste ancora oggi. Chi non ha fatto caso che per "omaggiare" (magari semplicemente per adulare un cliente o un potenziale datore di favori) una persona si usi ancora salutare con un sonoro "buongiorno dottore" anche chi dottore non è?

Lo sappiamo.
E la cosa più incredibile è che è talmente radicata questa abitudine da essere ormai culturale. Non per niente esistono persone che si presentano con titoli pomposi e altisonanti (spesso chi ha veramente titoli importanti nemmeno li mostra perché li considera normale sviluppo di carriera) e non per niente c'è anche chi quei titoli che si affibbia pubblicamente nemmeno li ha.

"Professori" che non insegnano niente, "dottori" che non hanno laurea o un "maestro" che non ammaestra nessuno sono un classico come alcune credenziali: "il miglior medico del mondo" o "candidato al premio Nobel" o ancora "tra i 10 più importanti scienziati al mondo". Conosco personalmente colleghi che si fanno chiamare "professore" (persino su carta intestata) ma professori non sono. E non è solo una cosa scorretta, ci sono pure risvolti legali.

Un trucco tanto banale quanto usato è quello di creare associazioni (dal nome importante) fittizie (senza attività, senza soci o con soci inventati, senza nessun ruolo attivo) delle quali poi ci si autonomina presidente in modo da sventolare quel titolo come fosse chissà cosa. Come sei io mi presentassi con il nome di Dott. Di Grazia, presidente della (RSIM, Royal Society of International Medicine). Alla faccia, sono il presidente di una società mondiale di medicina, devo per forza essere importante e famoso. Tranne poi scoprire che questa società non esiste e l'ho creata io per darmi importanza. Ho visto proprio pochi giorni fa un esempio del genere, alcuni video riportavano l'opinione di un medico presentato come "professore" e "presidente della (associazione dal nome importante ma sconosciuta). Il signore non era né professore né la sua associazione, creata da lui, aveva alcun peso in medicina.

Abitudine provinciale e di bassa caratura. Perché sappiamo che se sei veramente uno degli scienziati più famosi al mondo non hai bisogno di dirlo né di presentazioni. Se sei stato candidato al Nobel e non l'hai vinto c'è poco da vantarsene e se sei stato il miglior medico al mondo e presenti il tuo libro alla trattoria della zia Rosina o sei eccezionalmente umile o davvero non sei nessuno.

È tanto usata questa corsa al titolo pomposo che esistono anche finte università (o vere ma piccole e private università in qualche paese estero) che questi titoli li vendono.
Anche a prezzi stracciati.
Puoi comprare il titolo di "miglior virologo del mondo" o di "miglior scienziato europeo", titoli che ovviamente non significano niente (oltre a non avere nessun valore). Non esiste il "miglior virologo al mondo", in base a cosa sarebbe "il migliore"? Dagli studi fatti? Dal loro numero o qualità? E chi l'ha deciso? E il secondo chi è? E il peggiore dove lavora? E se io fossi un giornalista e diventassi un "top doctor" (tra i migliori medici) d'America? Che senso avrebbe?

Insomma, una marea di stupidaggini. Ruoli e classifiche fittizie create per fare soldi e dare un po' di fumo negli occhi ai boccaloni.
Già, perché sicuramente solo un boccalone potrebbe bersi un titolo come "miglior virologo del mondo" ma c'è anche da dire che se una persona (un professionista ma anche un mitomane) ha bisogno di questi falsi titoli, evidentemente non ha altro da offrire. Se fossi veramente un grande scienziato perché dovrei comprare il (finto) titolo di "miglior scienziato"? Lo sarei già.
Se fossi un ottimo chirurgo perché dovrei comprare il titolo di "miglior chirurgo d'Italia"? Solo per farmi grosso, per annebbiare il prossimo, per sentirmi migliore degli altri (senza esserlo, probabilmente).

Io per esempio volevo comprare una laurea honoris causa in omeopatia, sarebbe costata poco meno di 50 euro, non l'ho fatto perché non mi sembra giusto alimentare questo mercato disonesto. Ma si può fare. Si può diventare il "miglior medico al mondo" ma costa un po' di più. Si possono presentare studi scientifici farlocchi e vederseli (ovviamente per finta) premiati. Basta pagare, tutto ha un prezzo e i boccaloni stravedono per i dott. prof. avv. gran lup mann.

Impazziscono.
In questi anni ho incontrato centinaia di presunti dottori, scienziati e ricercatori. In questi giorni è morto un ciarlatano molto conosciuto. Si presentava come medico (non lo era), scienziato (non lo era), ricercatore (non lo era) ma di lui si sa solo che era un affarista, condannato per truffa e molto minaccioso (conservo ancora le sue mail di minaccia perché lo ostacolavo in un affare fatto di finte cure e disperazione). Si riempiva di titoli, la gente ci credeva e qualche giornalista pure e attirava creduloni come api al miele.
Un classico infatti sono i "ricercatori indipendenti" che non fanno ricerca scientifica, non lavorano in un centro di ricerca, non sono scienziati, semplicemente cercano su Google, ricercano sì ma su un motore di ricerca, come chiunque. Un po' come se io che guardo le partite di calcio in TV immaginando formazioni e allenamenti mi definissi "allenatore indipendente".
Ma per trovare credenziali non ci sono solo i titoli farlocchi, ci sono anche le finte riviste mediche, i finti gruppi di studio e i finti convegni. Qualche anno fa un ricercatore inviò al British Medical Journal (una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo) una lettera nella quale descriveva una nuova malattia da lui identificata, il "Cello scrotum", ovvero un'irritazione dello scroto dei suonatori di violoncello. Salvo poi scoprire che si trattava di uno scherzo, una bufala, una malattia inesistente e inventata accettata però da una importantissima rivista medica.

Anni fa, chi mi segue lo ricorda (e quando lo racconto ai convegni è "standing ovation") un noto guaritore che proponeva la cura per tutte le malattie, dichiarò ai giornali che la sua cura fosse talmente conosciuta e usata nel mondo che lo avevano invitato in Cina al "convegno mondiale di oncologia" durante il quale presentava il suo "protocollo" in mezzo ad applausi e onori.



Mi chiamarono giornalisti e amici per chiedermi come mai, quel medico criticato, del quale avevo spiegato trucchi e furbizie, in Cina diventava protagonista del "convegno mondiale di oncologia".

Lo spiegai raccontando come nel mondo esistano congressi e riviste scientifiche "finte", ovvero senza nessuna importanza e serietà, che accettano chiunque voglia esporsi, magari avendo bisogno di qualche titolo per il curriculum o qualche "credenziale" per impressionare i clienti, pagando una certa somma di denaro si finiva per essere invitati al convegno o vedere il tuo nome in una "finta" rivista scientifica.

Al congresso mondiale di oncologia in Cina, 200 dollari (è in offerta) per parlare.

Spiegazione compresa ma pochi la accettavano, anzi, pochi la capivano: se c'è un congresso come può essere "finto"?

Allora cercai di essere più pratico. Inventai una terapia, il "metodo Sbudella", fatto di una sorta di pasta alla carbonara (la cui ricetta era un misto di ricette americane, quindi terribili, con panna, aglio, spezie, immangiabile), racchiusi tutto in uno "studio" (per modo di dire) scientifico, mettendoci numeri a caso, parole a caso, termini chiaramente comici...insomma, scrissi consapevolmente un disastro, qualcosa di non credibile (apposta per poi non avere il genio che dicesse "eh ma loro l'hanno presa seriamente") e per completare mi firmai con il nome "prof. Massimo Della Serietà" responsabile della mensa aziendale della Fondazione Rocco Siffredi. Sistemai lo "studio", con i giusti riferimenti, lo stile, la grafica e lo inviai al convegno mondiale di oncologia, quello cinese, lo stesso che aveva visto come protagonista il nostro genio che curava tutti i tumori.
Facciamola breve.

Lo "studio" sul "metodo Sbudella" che poi era la cura (smentitemi se ne avete il coraggio) per il "buco nello stomaco" (tradotto con un improbabile inglese "hole in the stomach") fu accettato immediatamente al convegno mondiale di oncologia cinese e gli organizzatori, ammirati da tanta scienza, mi invitarono anche a essere "moderatore" (colui che gestisce una sezione del convegno) di una parte del loro congresso. Che bello! Pensate. il "mitico" dott. Di Bella, guaritore di mille malattie, si vantava (e lo facevano vantare i giornali!) di quel grande risultato che io avevo raggiunto allo stesso modo senza "guarire" una sola persona.


Ovviamente mentre nel caso del medico che guarisce tutti i tumori ne parlarono giornali e siti web, del prof. Della Serietà ne parlarono in pochi e il genio incompreso Di Bella non accennò più al convegno mondiale di oncologia ma è il destino delle menti eccelse.

Decine di inviti, insistenti, per il prof. Della Serietà al convegno mondiale di oncologia.

Da quel giorno però, il prof. Massimo della Serietà, dopo aver raccontato la sua storia, ha anche una pagina Facebook, tanti fan, all'università statale di Milano 400 studenti si sono alzati in piedi per applaudirlo e forse c'è anche qualche boccalone in meno.

Ma la passione degli italiani per i titoli resta alta.

Lo dico io, il miglior medico al mondo.

Alla prossima.