Link veloci

giovedì 13 agosto 2015

Sei felice?

Le mamme sono tutte uguali.
Arrivano in macchina, a piedi, col barcone.
Le mamme, tutte, quando arrivano, hanno paura. Non sanno chi avranno di fronte, non sanno cosa le aspetta, non conoscono le pareti, i rumori, le parole, gli sguardi.
Sono tutte uguali e per questo sai che per qualcuna può essere peggio.
Questa è una storia di qualche anno fa ed il nome della protagonista è inventato.
Joy ha solo 23 anni ed è di un paese della Nigeria nei pressi di Sokoto, la città più grande nelle vicinanze di casa sua, dove i commercianti comprano i beni di prima necessità che comunque in pochi si possono permettere. Vedere quella ragazza con gli occhi bassi, che non parlava, estranea a tutto, mi ha spontaneamente indotto a starle vicino, a farle vedere che non tutto era ostile e distante e così abbiamo parlato.
Il problema era la lingua, Joy non parlava italiano e conosceva poco l'inglese e così comunicavamo per mezze frasi, gesti e parole: "you're ok?" "yes, I'm ok" mi diceva.
Allora ho cercato di capire la sua storia, inizialmente per avere notizie di lei, per sapere della sua gravidanza e poi inevitabilmente perché non puoi restare indifferente all'inferno che passano queste persone.
Cerco di distrarla dai dolori del travaglio facendole domande, lei prima non risponde, poi lo fa a tratti, poi si chiude di nuovo in silenzio e non mi guarda, sfugge i miei occhi, a volte sembra infastidita. Mi faccio aiutare ogni tanto dalla volontaria che la assiste e che conosce tutta la sua storia, i suoi passaggi da un posto all'altro e quando parla di qualcosa che non conosco è lei ad aiutarmi a capire meglio.
Le offro un po' d'acqua e le chiedo com'è cominciato il suo viaggio. Joy ha la testa piegata a sinistra, continua ad essere diffidente, però inizia a raccontarmi qualcosa.
A Sokoto parte una delle carovane che portano i migranti dalla Nigeria alla Libia e lei è partita con una sua amica, nonostante avesse la nausea e qualche dolore provocato dalla gravidanza iniziale. Il capo carovana (che poi è il trafficante di uomini) non presta certo attenzione ai problemi personali, se ce la fai cammini, se non riesci resti indietro e ti lascia lì, senza problemi. Joy non ce la faceva ma ha resistito. Dopo essere arrivati ad Agadez, in Niger, c'è una piccola sosta, i trafficanti lasciano il gruppo a dei loro compagni dotati di macchine e più organizzati. Il caldo è asfissiante e Joy non ce la fa più, l'acqua è razionata, non si mangia, si devono sostenere marce di 18 ore sotto il Sole e forse qualcuno ha detto al capo dei trafficanti che lei è incinta.
Dev'essere successo proprio questo perché a quel punto lui la isola e la lascia nelle mani di una donna del luogo che la porta a casa sua.
Qui Joy sta per qualche giorno, le spiegano che in quelle condizioni nessun trafficante l'avrebbe accompagnata fino in Libia, che sarebbe stato un peso, un problema. La donna le suggerisce di abortire, in cambio di un mese di lavoro le sarebbe stato garantito un aborto illegale, improvvisato, non in ospedale, non ne esistono in zona ma in quella stessa casa.
Così succede.
Joy abortisce aiutata da due donne del paese nella casa di una di loro, qualcosa da bere, un fazzoletto in bocca e fiumi di sangue.
Non ha nemmeno il tempo di riprendersi, deve pagare quel "favore" e si mette subito al lavoro e passano altri due mesi. Era il momento di ripartire ma di soldi nemmeno l'ombra. Una delle donne della casa mette in contatto Joy con qualcuno che conosce i trafficanti, forse c'è una soluzione: lavorare a casa del trafficante per pagarsi il passaggio dal Niger alla Libia, prima si arriva ad Agadès con una settimana di marcia e da lì un altro gruppo di uomini l'avrebbero unita alla nuova carovana di migranti, quelli che entreranno in Libia per tentare di arrivare alla costa ed imbarcarsi, altri 30-40 giorni di cammino in parte su mezzi ma spesso a piedi sotto il Sole.
La ragazza capirà presto che il lavoro a casa del trafficante non sarebbe stato facile: tutto il giorno ad impastare farina e mattoni in cambio di una ciotola di riso ed un po' d'acqua. Una sola ora di pausa che passa con gli altri ospiti della casa con i quali fa amicizia. Soprattutto con uno Robert...o Rupert, non lo capisco, un ragazzo che come lei deve andare da qualche parte nel mondo ma che a differenza di Joy è pagato per lavorare. Tra i due nasce un'amicizia, qualcosa di più e passano quasi tutto il (poco) tempo libero che hanno assieme.

Ed è mentre trasporta un cesto di biancheria che le dicono del giorno della partenza, non c'era neanche tempo di prepararsi, l'indomani sarebbe passata la nuova carovana di disperati, lei porta solo una borsa con una bottiglia d'acqua ed una maglietta, non le permetterebbero di più. Non si rivedrà più neanche con Robert, di lui le è rimasto solo il numero di telefono che conserva in un foglietto.
Ma che vita è quella di Joy, che cosa avrà dalla sua esistenza, che ricordi, emozioni o sensazioni conserverà?
Mentre le parlavo pensavo che Joy probabilmente non aveva mai conosciuto la felicità, forse da bambina? Ma non so se lei da bambina avesse mai avuto occasione per essere felice ed è straziante pensare che esistano persone da qualche parte del mondo che non sono mai state felici.
Per Joy, cose "normali" per noi sono assolutamente impossibili, lei vive per sopravvivere, con l'amara ironia di un nome come il suo, Joy, gioia.
Poi si ferma e mi dice qualcosa in inglese che non capisco, sempre senza guardarmi, quasi sottovoce. Mi avvicino e le chiedo "cosa? I don't understand...non capisco" e lei ripete un po' più ad alta voce e quasi infastidita "I'm scared..." "ho paura"... le sorrido e le dico di non aver paura, anche perché il suo viso inizialmente teso, quasi arrabbiato, iniziava a distendersi, sembrava più sereno. La tranquillizzai, tutto andrà bene, glielo dissi in italiano, le dissi che le cose erano sotto controllo e che presto sarebbe diventata mamma, tutto scandito dal battito del cuore del figlio, monitorato dagli strumenti.

Il racconto della nuova partenza ricomincia, sempre a testa bassa, sempre senza guardarmi, con la volontaria che mi aiuta a ricostruire e capire meglio, sono giorni durissimi, soprattutto perché, dopo un paio di settimane, sono tornati nausea e mal di pancia. Joy è sempre debole, stanca ma chi non sarebbe stanco in quelle condizioni?
Sembra siano a metà strada e di nuovo una sosta durante la quale si uniscono a loro altre persone, famiglie intere, qualche bambino e persino un ragazzino solo, che chissà da dove arriva. Ora Joy racconta quelle cose con la voglia di farlo, sembra uno sfogo.
L'arrivo è visto come un sollievo, anche se si è consegnati ad altri trafficanti che non si fanno tanti problemi a trattarli come bestie, la fine del cammino è arrivata ma ne comincia presto un altro, questa volta attraverso il mare.
La barca è larga, profonda ma ha un aspetto che non promette nulla di buono, chissà quanti anni ha, chissà quante volte è stata usata ed Joy sale consapevole che il suo destino non può conoscerlo nessuno.
Chiede ad un ragazzo seduto vicino a lei quanto tempo ci vorrà per arrivare in Italia, lui fa un segno: "3" ma non spiega "tre cosa", giorni, ore, mesi...?
Ma i "3" erano giorni o forse più, forse meno, chi lo sa, il paesaggio era sempre uguale e le ore passavano senza nessun ritmo abituale. Poi all'improvviso una piccola nave all'orizzonte, si avvicina e poi lancia bottiglie d'acqua e salvagenti. Passato un po' di tempo erano tutti nella nave, due di loro sdraiati per un collasso, lei in preda a dolori di pancia e nausea, come sempre.
Arrivata sulla terra, le dicono che quella è l'Italia, in mezzo a volontari, medici, poliziotti, Joy sente di non farcela più e forse sviene.


Si risveglia in una stanza enorme e piena di persone, coperta da un telo argentato, ha una cartella sulla pancia e le dicono in inglese "pregnant, you're pregnant", cioè che aspetta un bambino e Joy pensa subito a Robert, il ragazzo con il quale aveva legato durante il viaggio, è lui il papà.
Joy è trasferita in un altro centro, poi in un altro ed infine in una casa di accoglienza gestita da una ONLUS religiosa. Anche al centro Joy non ha fatto amicizia con molte persone, è spesso chiusa in stanza, l'unico con il quale parla raramente è un suo connazionale che nel suo paese faceva l'infermiere ed ora è arrivato anche lui qui in Italia in cerca di qualcosa, tramite lui riesce a risentire per telefono Robert. Anche lui è in Italia ma in un altro centro, non sembra esserci modo per ritrovarsi perché i due non hanno legami ufficiali e la burocrazia non permette ricongiungimenti "sentimentali", lei gli racconta di aspettare un bambino da lui ed è quasi sorpresa quando capisce che lui ne è felice, che vorrebbe starle accanto, che farà il possibile per vederla.
È lì, in quella casa, che dopo pochi mesi è assalita da dolori fortissimi, sono le doglie, è iniziato il travaglio. Lei si chiude nella stanza, non vuole vedere nessuno e non apre nemmeno ai pompieri chiamati dal personale della casa di accoglienza. Devono sfondare la porta e con l'ambulanza trasportarla in ospedale.
Ed eccoci assieme.
Le dico di stare calma, che lì è al sicuro, che ora diventerà mamma, poi le chiedo "you want this baby?" e lei risponde di sì, sempre senza guardarmi negli occhi, a testa bassa e sottovoce.
Subito dopo le sue parole sono strozzate dal dolore ed è il momento di portarla in sala parto.
Le dico di farsi forza e di spingere, lei mi chiede di aiutarla "help me doctor, help me..." e spinge. Io la guardo e penso a come ogni vita possa essere diversa, a quante ne abbia passate quella donna e di come, forse, oggi sia l'unico o uno dei pochi momenti felici della sua vita, allora la incoraggio: "spingi, forza, push! Push!" e lei spinge e piange, urla e spinge. Sta partorendo esattamente come tutte le mamme, quelle arrivate in macchina, a piedi o col barcone, ha gli stessi dolori, le stesse paure e deve fare le stesse cose, spinge e piange, spinge e grida.
Poi il silenzio. Nasce un maschio, in buone condizioni, io le sorrido e la guardo e per la prima volta lei alza lo sguardo e guarda me e quasi si sforza per accennare un sorriso. Ci facciamo una foto e nella foto Joy sorride e ne faccio una al figlio.
Le chiedo: "are you happy? Sei felice?" e lei mi risponde "".
Joy, quel giorno era felice.
Non so se quel giorno fosse il primo giorno felice nella sua vita, se per lei sarebbe iniziata una nuova vita, non credo la rivedrò mai più ed il turno era quasi finito. Il suo futuro e quello del suo bambino non li conoscerò mai ma lei era felice, forse per la prima volta, questo è importante.
E lo ero anche io.

Alla prossima.

PS: Grazie all'impegno della ONLUS che ospita Joy, Robert, il papà del bambino, ha potuto rivedere Joy e suo figlio, ora vivono assieme.

35 commenti:

  1. Una volta di più mi colpisce la Sua umanità ed il suo impegno. Amo questo blog da quando l'ho conosciuto grazie alla Sua pagina su Le Scienze. Lei è quello che DOVREBBE essere ogni medico. E la ringrazio per il suo lavoro, anche su queste pagine, al servizio della conoscenza scientifica

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille.
      Posso dire con assoluta certezza che quello che faccio io (e come lo faccio) è assolutamente normale per la stragrande maggioranza dei medici e di chi lavora in sanità in Italia, forse non hanno la fortuna di poterlo (o volerlo) raccontare.
      :)

      Elimina
  2. Una parola sola: grazie
    Sono le persone come Lei che fanno la differenza.
    Buon Lavoro.

    RispondiElimina
  3. Cagate sentimentaliste della New Left. Mandiamo a casa la Realpolitik in nome dell'irrazionale. Quanto meno fanno numero, infondo la loro utilità sta qui.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Molto utile anche il tuo commento, so benissimo che esistono persone che dividono l'umanità in left e right o bianco e nero. Sono limiti tristi e non per forza volontari.
      Coraggio.

      Elimina
    2. Buon di dottor Di Grazia, le rispondo in ordine.
      1)L'umanità proprio per la sua vastità non ha bisogno certamente di persone come me per evidenziare (lei parla di divisione, LoL)la sua diversità. Diversità culturali, etniche/"razziali", linguistiche, religiose e anche politiche sono tutte intorno a noi, nessuno li negherebbe, almeno che non fosse educato ideologicamente a farlo. Purtroppo è un limite mi rendo ben conto, ma sono sicuro che riuscirà a superarlo.
      2)Il mio commento aveva l'obiettivo di evidenziare il fatto che lei che combatte per la ragione e il razionalismo applichi il sentimentalismo (irrazionale) in un discorso del genere. Ma infondo la Nuova Sinistra vive di contraddizioni, poco da fare al riguardo. Non che i destroisi siano migliori o anche coloro che rifiutano lo schema "borghese" destra/sinistra quali i "neofascisti" e "neocomunisti"(che molto spesso non sono altro che parodie mal fatte di quello che "erano" una volta). Nel commento sopra evidenziavo anche come ormai in politica vige più l'ideologia che la realpolitik, fa niente.
      3)Infine nel mio breve, se pur intenso, commento ho evidenziato come l'immigrazione di massa basata sul laissez-faire possieda effettivamente qualche utilità. Cioè di fare numero, per meglio dire di cercare di frenare la spirale di depressione demografica Occidentale, causata in buona parte dalla razionalizzazione familiare e dal solipsismo moderno (ironico il fatto che siano propri stati dei fattori irrazionali ha permettere l'attuale sfacelo, vero?). Oltre che abbassare il costo del lavoro, sempre utile.Non si rendono conto che tutto ciò avrà un prezzo ben superiore in termini umani. Molti credono che le scelte più semplici siano anche le più sicure, si sbagliano di grosso.
      Ci sarà da ridere quando il livello di meccanizzazione aumenterà e quindi molti lavori manuali e intellettuali verranno meno.
      La ricerca si basa sugli States, ma tanto quello che accade li poi passa l'atlantico e accade anche qui.
      http://www.technologyreview.com/view/519241/report-suggests-nearly-half-of-us-jobs-are-vulnerable-to-computerization/
      4)Ben mi rendo conto che l'armento ripete pedissequamente quanto viene riflesso dall'opinione pubblica (che non è altro che l'opinione dei media deviata da una determinata lettura politica), quindi preferisco fermarmi qui.
      Visto che lei ha 48 anni (almeno se la wiki che la riguarda è esatta) ne possiamo tranquillamente riparlare fra qualche anno, quando lei avrà 65 anni o più, magari davanti una tazza di tè.
      Buone vacanze ;)

      Elimina
    3. Aggiungo soltanto che anche il problema di impennata demografico Africano è causato dall'irrazionale. Infatti da loro la dissoluzione culturale non esiste proprio. La colpa è in parte degli Occidentali. Sopratutto di coloro che inviano capitali per cure e non pensano a razionalizzare la demografia africana, utilizzando appositi strumenti. Poi sono i medesimi irresponsabili che si lamentano delle problematiche africane.

      Elimina
    4. Caro sig. Careri,

      Lei continua a parlare di destra, sinistra, colpe, occidente, io ho raccontato una storia, la nascita di una vita, un parto, un momento del mio lavoro, una vita di una persona qualunque come ne incontro tante.

      Confermo quindi che considero un limite molto triste sapere (e lo so, non lo scopro certo con il suo commento) che esistano persone che vedano il mondo con questi limiti e queste classificazioni, come se, quando ci sotterreranno, questo abbia cambiato qualcosa nella nostra vita (o nella qualità dello strato di terra che ci coprirà.
      Quindi si tranquillizzi, il suo commento non c'entra nulla con quanto ho raccontato ma ci ha fatto sapere l'interessantissimo suo punto di vista sul problema immigrazione. Ora possiamo proseguire lo stesso.
      Grazie e saluti.

      Elimina
    5. Non capire il significato di quanto scritto sopra è grave, ma non mi aspettavo sinceramente che capisse. Infondo una persona che blatera di umanità e non si rende conto delle conseguenze di determinate politiche (anche per la ragazza descritta sopra) non poteva che scrivere cosi.
      La sua storia racconta anche altro non solo l'esperienza del parto, esperienza sempre più sconosciuto in Occidente. Bah, se ha letto attentamente tutti e due i commenti vedrà che la tipologia di persona descritta nel secondo commento le appartiene.
      Continuerò a seguirla, io non sono come quelle persone che per qualche battibecco non seguono più pagine utili, al massimo non commenterò più su questo post.
      Ancora buone vacanze.

      Elimina
    6. P.S. Non credo proprio che lei abbia mai conosciuto persone come me, mi dispiace. Ma sono razionale io.

      Elimina
    7. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

      Elimina
    8. Mikhail, commenta evitando gli insulti e le volgarità per favore.
      Commento eliminato.

      Elimina
    9. Salvo in tutto ciò, evidentemente a 48 anni sei un giovinetto, non sei contento? :-)

      Elimina
    10. Che onore Giuliano Parpaglioni ha commentato un mio post :D
      Complimenti per i suoi due blog, li trovo molto utili per una corretta informazione sull'alimentazione e sulle diete ;)

      Elimina
  4. Da un po' di tempo (diciamo un anno e mezzo o poco più ;-) ) le vicende che coinvolgono mamme e bambini tendono a lasciarmi una lacrimuccia, non sempre inespressa.
    Momenti come questo, Salvo, credo siano quelli che ti danno la forza di affrontare il dolore di chi soffre e gli inganni dei ciarlatani.
    Sono felice per Joy e sono felice per te.

    RispondiElimina
  5. Grabde Doc!
    Chissa' quante storie come questa, con le sue storie dietro, ci sono...

    RispondiElimina
  6. Infondo = indicativo presente del verbo "Infondere" (Io infondo, tu infondi, ecc.
    In fondo = alla fine, in conclusione.

    Prima di "scriver forbito", magari un ripassino di grammatica, sintassi, punteggiatura, ecc.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La ringrazio della segnalazione, ma da tablet mi risulta difficile scrivere correttamente. Chiedo venia per i miei errori grammaticali.
      Non poteva commentare sotto il mio commento?

      Elimina
    2. Quale sarebbe dunque il torto del Dott Di Grazia? Perche' a parte il monologo ( per quello puoi anche aprirti un blog tutto tuo, eh ) autoreferenziale, le etichette a destra e a manca, la "realpolitik" ( termini che fanno sanguinare il cervello ) e poco altro ammetto mi sfugge il senso del tuo lungo post.

      Elimina
    3. Legga attentamente il commento, vedrà che forse ci arriva.
      Le posso chiedere come mai considera il termine realpolitik un termine che fa sanguinare il cervello? Preferisce il termine "realismo politico"?
      Perché vi ostinate a commentare fuori dal commento pertinente? Potrei anche non vedere il suo commento e non rispondere.

      Elimina
    4. Perché vi ostinate a commentare fuori dal commento pertinente?

      Io invece chiedo: perché si ostina a commentare argomenti non pertinenti?

      Allora facciamo che qui non si parla di politica, destra, sinistra e di qualsiasi altro argomento che non abbia attinenza con il post che se non fosse chiaro racconta la storia di una donna r del suo parto.
      Ogni altro commento non in tema sarà eliminato senza ulteriori preavvisi.
      Grazie.

      Elimina
    5. Bastava dirlo, nessun problema.

      Elimina
  7. Grazie Dottore.

    Una speranza in più che questo ramo di "Animalia" non sia un vicolo cieco.
    Grazie per il post. Fa bene all' anima. E speriamo faccia bene al cervello di qualcuno il quale ancora non capisce che pende dal solito ramo come gli altri..

    RispondiElimina
  8. Un po' di fiducia nell'umanità è tutto quel che chiedo in questo periodo... E mi accorgo sempre più spesso che nonostante le campagne massive razziste sui media il numero di persone come Salvo siano, lo spero, la maggioranza. Grazie doc.

    RispondiElimina
  9. Grazie per questo racconto, dottore, davvero, mi sono commossa. In queste situazioni ci si rende conto che alcuni si nascondono dalla realtà con paroloni e analisi economiche, definendo "cagate sentimentaliste" e "buonismo" quella che è semplicemente umanità. Apparteniamo tutti alla stessa razza, quella umana, e chi lo nega è fermo alla cultura dell'Ottocento. Provo pena per queste persone, e mi chiedo se la penserebbero allo stesso modo se si trovassero al posto di questi poveri migranti. Perché quello che ci lega, e che fa svolgere bene il proprio mestiere ai medici come lei, quella cosa che ci fa andare avanti come persone e come specie è semplicemente l'empatia, il sapersi calare nei panni degli altri. Chi non è in grado di farlo può anche prendere una laurea in politica economica, ma vivrà un'esistenza ben arida...

    RispondiElimina
  10. Grazie Doc,
    letto e nelle ultime righe la lacrimuccia c'è scappata....che vuole farci sono sentimentalista, ringraziando il cielo!

    RispondiElimina
  11. Penso di aver capito Francesco Careri ed il suo sfogo che aveva, però, il torto di essere un po' fuori contesto.
    A me la storia è piaciuta così come è stata scritta a prescindere dal se fosse vera o inventata di sana pianta. MI è piaciuta perchè ha comunque unito e non diviso che poi è la bellezza di queste storie. Io e te siamo uguali nasciamo tutti con lo stesso diritto di vivere e di restare in ogni modo aggrappato alla alla voglia di vivere.
    Delle colpe dell'occidente e, perché no, quelle degli africani stessi lasciamo che ne parlino i blog di politica,sociologia, economia. Qui parla un medico che fa il lavoro più sano del mondo. Occuparsi del benessere degli altri e, le parole sono importanti, in salute e in malattia.

    Grazie Doc.

    RispondiElimina
  12. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  13. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  14. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  15. La sua è una penna gentile, come lo è chi la impugna: gentile e approfondita. Fa molto piacere leggerla, dottore. Grazie.
    Roberta Giulia Amidani

    RispondiElimina
  16. Salve. Cosa pensa del Tri test? Secondo lei è utile?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cosa pensa del Tri test? Secondo lei è utile?

      Intende il test che si fa in gravidanza?
      Ormai è in disuso perché non molto preciso nei risultati, oggi si usa il BI-tes (o DUO test o ultrascreen) che consiste in un prelievo di sangue materno ed un'ecografia per misurare lo spessore della nuca del feto. Ha un'alta attendibilità ma resta un esame statistico (non fa diagnosi di malattia né indica con certezza la sua assenza). Il suo scopo è fare screening, cioè identificare i casi a rischio per poi eventualmente procedere con esami più importanti (e che fanno diagnosi).

      Elimina

I tuoi commenti sono benvenuti, ricorda però che discutere significa evitare le polemiche, usare toni civili ed educati, rispettare gli altri commentatori ed il proprietario del blog. Ti invito, prima di commentare, a leggere le regole del blog (qui) in modo da partecipare in maniera costruttiva ed utile. Ricorda inoltre che è proibito inserire link o indicare siti che non hanno base scientifica o consigliare cure mediche. Chi non rispetta queste semplici regole non potrà commentare.
I commenti che non rispettano le regole potranno essere cancellati, anche senza preavviso. Gli utenti che violassero ripetutamente le regole potranno essere esclusi definitivamente dal blog.

Grazie per la comprensione e...buona lettura!