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mercoledì 25 marzo 2020

La gravidanza ai tempi del Coronavirus.

Certo che questa epidemia di Covid-19 (si chiama così la malattia causata dal Coronavirus) ci ha rivoluzionato ritmi, abitudini e scelte eh? Non dico la vita, fortunatamente non vediamo stragi di bambini o morti per le strade ma le conseguenze ci sono. Pratiche, sociali, economiche, un vero disastro.
Lo vedo anche nel mio lavoro.
Persone spaventate, colleghi nervosi e agitati, personale in subbuglio. Tutto rivoluzionato: chiusi gli ambulatori, rinviate tutte le attività non urgenti, compresi gli interventi chirurgici, una rivoluzione anche sanitaria. Io mi occupo di salute della donna e di ostetricia, ovvero della branca della medicina che si occupa di sorveglianza e studio della gravidanza. Alla fine la mia specialità è una delle più particolari. Un parto non si può certo rinviare, quando sarà il momento si partorirà, non puoi "programmarlo". Però avendo cancellato le visite non urgenti e le prestazioni rinviabili molte donne si sono trovate disorientate. Le abitudini completamente cambiate, sovvertite. Non solo i controlli abituali (visite, ecografie, esami) hanno perso la loro normale periodicità ma non si sa bene nemmeno come risolvere, quando farle.
In ospedale abbiamo in parte risolto il problema assicurando, alle cose più urgenti, una assistenza. Sarà fatto tutto quello che bisogna fare e nessuna donna sarà abbandonata. Bene.

Poi un giorno una lettrice mi ha fatto notare una cosa.
Presi da questo allarme tutti (non solo noi ginecologi ma anche le autorità) si sono un po' dimenticati delle donne in gravidanza.
No, non dal punto di vista strettamente medico, come detto in ospedale qualcosa si potrà fare ma da quello pratico, psicologico.
La donna in gravidanza è abituata a controlli periodici (mensili, in genere) che hanno sia lo scopo di sorvegliare che tutto vada bene ma anche quello di rassicurare i futuri genitori che la gravidanza prosegue nel migliore dei modi.
Non solo. In gravidanza (a maggior ragione in questa stagione dell'anno), la donna ama prendersi cura di sé, fare delle passeggiate, scegliere le cose migliori per il neonato, darsi a passatempi "banali" ma rassicuranti (la scelta del lettino, i colori, i regali, piccoli pensieri che fanno parte della routine quotidiana). C'è anche l'attività fisica che qualsiasi ginecologo raccomanda caldamente alle donne e l'equilibrio psicologico della donna che sicuramente è in una fase normale ma particolare della vita.
Non ne parla nessuno. Forse perché troppo presi a parlare dei morti, degli ospedali, dei costi, del lavoro.
Troppo agitati per affrontare con serenità tutto ciò che succede.
Allora, ringraziando la lettrice per lo spunto, provo a parlarne io.
L'argomento sarebbe infinito, rischierei di perdermi e di fare perdere chi legge. Io preferisco essere pratico, non dilungarmi con informazioni inutili e andare al sodo.
Ho pensato quindi di andare per argomenti, magari brevemente ma parlare di quello che so essere più importante per chi è in gravidanza. Il post è, obbligatoriamente, lungo. Ho cercato di essere non troppo prolisso, di limitarmi alle cose più importanti e fondamentali, di spiegarmi bene però gli argomenti sono tanti. Visto che molte donne in questi giorni non hanno tantissimi impegni, il fatto che il post sia particolarmente lungo non è detto sia un problema, anzi. In più ogni lettrice potrà stampare e leggere tutto con calma o dividere il post in varie parti.
Iniziamo?
Iniziamo.


Partiamo da un fatto.
I dati a oggi disponibili ci dicono che Covid-19 non dovrebbe essere molto pericolosa in gravidanza (ne parlo in un video). Abbiamo pochi casi da analizzare (anche perché la malattia è comparsa recentemente) ma quando lo hanno fatto si è notato che il virus non passa (non sembra passare) la "barriera" costituita dalla placenta. Non sono state riscontrate quindi infezioni "dentro l'utero" o che interessassero il nascituro né complicazioni particolari della gravidanza. Questo ci tranquillizza ma i dati si riferiscono principalmente a gravidanze avanzate, terzo trimestre. Può però tranquillizzarci in generale. Il vero problema è la malattia nella madre. Se una madre fosse asintomatica (senza sintomi: tosse, febbre, difficoltà a respirare) il problema sarebbe relativo. Isolamento, attenzione e tutto passerà.
Se lo fosse a quel punto si devono mettere in atto tutte le procedure di terapia e isolamento perché se la madre sta male il feto starà male. Il timore maggiore è l'insufficienza respiratoria, alla quale si spera di non dover mai arrivare. Un altro dato però ci tranquillizza: la fascia di età alla quale si manifesta con più aggressività la malattia non è quella nella quale si ha in genere una gravidanza (20-40 anni), quindi bene così, senza considerare che il sesso femminile è meno colpito di quello maschile.
Importante, prima di iniziare, sottolineare due cose.
1) Questi sono consigli. Solo il vostro ginecologo conosce la vostra situazione e non bisogna prenderli come "prescrizioni" ma solo come considerazioni generali.
2) Si riferiscono a una gravidanza fisiologica e non a rischio. Per queste ci sono regole e procedure particolari e sarà ovviamente il vostro ginecologo a illustrarle.

Diminuzione dei contatti sociali.

Nonostante questa sia la misura più dura e difficilmente accettabile è anche quella più utile ed efficace, quindi è bene osservarla senza grandi eccezioni e tanta pazienza.
Dopo i primi giorni di "chiusura" in casa, accettati quasi con piacere, inizia una fase di noia, poi di inquietudine e infine di vera e propria ribellione, che inducono a comportamenti impulsivi (si esce di casa nonostante i divieti e si tende a rifiutare regole e imposizioni). I sintomi del contenimento sociale sono quelli dello stress post trauma, disturbi dell'umore e del sonno, nervosismo, bulimia. Questi disturbi possono sfogarsi con aggressività, ansia, depressione, tendenza ai pensieri negativi e distruttivi.
Questo è da evitare e anche per questo i periodi di contenimento devono durare il più breve tempo possibile. Il problema è che "il più breve possibile" non significa brevissimo, potrebbe essere anche un periodo di mesi. Come risolvere quindi?
Sicuramente reinterpretando gli spazi di casa e l'ambiente domestico. Non farsi prendere dalla pigrizia. Darsi degli orari, delle scadenze, obblighi dettati dal tempo ("alle 12 ginnastica per le gambe, alle 16 cyclette e ascolto  musica, alle 19 lettura di un libro e riordino della biblioteca"), cercare impegni mentali, scoprire o riscoprire un hobby, tentare qualcosa di nuovo (disegno? Pittura? Musica? Cucina? Sartoria...?). Il telefono è un amico, usalo. :)
Insomma, la casa, per un certo periodo, dovrà diventare il nuovo "mondo". I contatti fisici saranno sicuramente diminuiti, allora tentare i contatti telefonici, via internet, le video chiamate, i social. In questi preferire pagine leggere, che non parlano della situazione attuale, di persone con gli stessi interessi così da scambiarsi opinioni e pareri. Per quanto riguarda l'essere aggiornati guardare un telegiornale (per esempio quello della sera) o seguire il sito di una testata giornalistica, questo solo nell'ottica di non perdere novità o decisioni delle autorità, non per rincorrere qualsiasi notizia o piccola novità sull'argomento epidemia.
Non si stringono le mani, non ci si deve abbracciare ma possiamo benissimo stare vicini virtualmente, oggi abbiamo questa grandissima fortuna.
Non stare troppo tempo fermi.
Per chi ne ha possibilità, esporti 10 minuti alla luce del Sole è un'ottima idea. Basterebbe esporre braccia, gambe, viso. Un terrazzo, il balcone, un giardino e si può fare. Se non fosse possibile pazienza. Un'idea per farlo può essere scegliere (o aspettare) una bella giornata di Sole per andare a fare la spesa. Lasciare la macchina vicino al supermercato, fare 10 minuti a piedi esposti al Sole, fare la spesa e tornare a casa.
Prendere un po' di tempo per dedicarsi al compagno e, se ci fossero, agli altri figli. Anche qui conviene "programmare" i tempi, dedicare un po' di tempo a cercare qualcosa per impegnare e distrarre gli altri figli (stampare dei disegni da colorare, inventare dei giochi, libri da leggere, assegnare compiti, comprare paste da modellare, pennarelli, film, cartoni animati...).

Attività fisica

Non bisogna farsi prendere dalla pigrizia.
Ovviamente non sarà possibile fare attività fisica impegnativa ma, in fondo, questo è già sconsigliato, in linea di massima, normalmente. Per chi avesse a casa strumenti come cyclette o tapis roulant, queste sono ottime possibilità di attività fisica. Mettere la TV su un canale che trasmette musica o ascoltando musica con le cuffie, due volte al giorno venti minuti di moderata attività fisica sono raccomandabili. Datevi degli orari, come fossero appuntamenti fissi ai quali non poter rinunciare. Non dite "poi la farò", alle 16 dovrete farla, a prescindere dalla voglia e la farete.
Esistono su YouTube anche video per fare un po' di ginnastica libera e permessa in gravidanza.
Si trovano anche dei video rilassanti, con musica "morbida" e immagini di paesaggi naturali, possono essere sottofondi piacevoli per 30-40 minuti di yoga o semplice ginnastica leggera su un tappetino.

Se proprio non volete andare su YouTube sdraiatevi su un tappetino o sul divano o sul letto e prima su un fianco, poi sull'altro fate delle "forbici" (lentamente, divaricando le gambe) per 20 volte da un lato e poi dall'altro. Poi in piedi fate 15 piegamenti sulle ginocchia mantenendo dritta la schiena e da sedute (su divano o sedia) contate fino a 15 muovendo velocemente le gambe come quando si nuota.


Un esempio di video con attività fisica in gravidanza.

Permessi e incoraggiati i massaggi. A pancia in su o sedute, massaggiare con le mani (o farsi massaggiare) prima le gambe (dalla caviglia all'inguine) poi le braccia, dalle mani alla spalla. Si può fare uso di olio di mandorle dolci per favorire il massaggio e, nel frattempo, prevenire smagliature e inestetismi della pelle.

Alimentazione

Il rischio di eccedere con cibi superflui ed eccesso di calorie è reale e in gravidanza questo è assolutamente da evitare.
Si deve mangiare bene e non troppo, anzi, in un periodo di fondamentale inattività fisica è bene ridurre leggermente l'apporto di calorie. A pranzo e cena non eccedere con portate e pietanze, preparare solo ciò che servirà per mangiare. Annullare il consumo di bevande zuccherate. Per chi le amasse concedersi un bicchiere (massimo due volte al giorno) una volta alla settimana.
Cercare di ridurre i condimenti, i fritti, i cibi grassi, i dolci. Un dolce, se piace, va consumato al massimo una volta la settimana. La pizza, se piace, va consumata una volta ogni 15 giorni al massimo. Preferenza assoluta a frutta (preferendo quella non zuccherina, meglio le mele, le pere o kiwi) e verdura. Quest'ultima in abbondanza e a volontà. Legumi, cereali, fibre, a volontà.
Se si riuscissero a contare le calorie queste dovrebbero essere assunte per un totale di circa 1500 al giorno (un valore basso considerando la quasi totale inattività fisica di questi giorni).
E poi bere acqua, tanta, che significa tra 1,5 e 2 litri al giorno.
Ovviamente mantenere validi tutti quegli accorgimenti già noti: cuocere bene la carne, pulire bene frutta e verdura, non mangiare alimenti di scarsa qualità o in cattivo stato di conservazione. E ricordate, la bollitura  distrugge praticamente tutti gli organismi che causano malattie.

Terapie

Non va sospesa nessuna terapia in corso. Oltre all'assunzione di acido folico, che sappiamo frequente in gravidanza, qualsiasi terapia si segua, per qualsiasi motivo, non va sospesa. Ovviamente si dovrà parlare con il proprio medico per dubbi o domande ma non c'è motivo per sospendere una terapia in corso.

Controlli in gravidanza

Questo forse è il punto più dolente, quello che molte donne hanno difficoltà a capire. Praticamente tutti i reparti di ostetricia hanno chiuso ogni attività ambulatoriale, quindi le visite di routine, i controlli degli esami e spesso anche i controlli ecografici, sono sospesi (anche in tutti i centri privati!). Fanno a volte eccezione gli ambulatori di ecografia e quelli dove sono seguite le gravidanze a rischio o che meritano controlli particolari. Il dubbio (legittimo) delle donne in gravidanza a questo punto è: è ora?
Ci sono alcune soluzioni.
Per chi ha un ginecologo privato la via è più semplice. Sarà probabilmente impossibile fare una visita ma un controllo degli esami potrà essere fatto via internet, via Skype o via mail. Ovviamente si tratta di controlli generali, quando si sta bene, non ci sono sintomi particolari e si tratta di esami di routine.
Chi non avesse un ginecologo privato probabilmente dovrà saltare uno o due controlli (quindi due mesi di "pausa" degli ambulatori anche se non sappiamo fino a quando durerà questa situazione).
In questo caso ci si deve intanto rivolgere al reparto nel quale è seguita la gravidanza, per capire se ci sono iniziative particolari, se c'è qualche ambulatorio dedicato, se hanno deciso qualcosa in particolare, questo può infatti cambiare da un ospedale all'altro.
In linea di massima però mi sento di poter dare qualche consiglio.
In caso di assoluto benessere non è urgente fare una visita e anche saltarne una (quindi fare una visita a distanza di due mesi dalla precedente) non deve essere vista come una cosa pericolosa e particolarmente preoccupante. Si può fare. L'importante è condurre una vita sana, controllare che non vi siano sintomi particolari (perdite di sangue o liquido, dolori addominali importanti, "pancia" dura frequentemente o il cui indurimento è spesso fastidioso) e controllare il regolare procedere dei movimenti fetali (non c'è un numero preciso, diciamo almeno una decina sparsi durante la giornata).
Anche l'esecuzione di esami di routine (per esempio l'esame urine o l'emocromo) è rimandabile in mancanza di problemi.
Diverso il caso di esami più particolari. Già quello per il controllo degli anticorpi anti Toxoplasma o la curva glicemica o ancora le transaminasi, possono essere più importanti perché richiedono un controllo più ravvicinato. In questo caso bisogna chiedere al reparto (o al medico) che vi segue che potrebbe dirvi di aspettare tranquillamente o di farli al più presto.

Nel caso si avesse qualche dubbio, qualche sintomo o semplicemente se l'ansia ci assale e non riusciamo a controllarla, c'è il pronto soccorso ostetrico. Per cose non particolarmente urgenti vi consiglio di provare ad avvertire il reparto del vostro arrivo (per esempio: "sono alla 30ma settimana, non sento i movimenti da stamattina, posso venire tra un'oretta per un controllo?) così se avessero esigenze particolari o ci fosse un momento di caos in reparto potranno dirvi il momento migliore per arrivare.
Ricordate che fino alla 20-22ma settimana può essere normale non sentire (o sentire poco) i movimenti fetali.
Se invece siete in epoca avanzata di gravidanza (diciamo dalla 34ma settimana in poi) probabilmente avrete già fatto tutte le ecografie. La vostra situazione è quasi totalmente sotto controllo. Bene, anche per voi valgono le stesse regole. In buona salute, senza problemi né sintomi, aspettate che passino i giorni, informatevi su eventuali novità del reparto e vedete se avessero attivato qualche nuovo ambulatorio o riaperto gli appuntamenti. In caso contrario ricordate quanto detto prima: senza sintomi tranquille, con i sintomi o dubbi importanti chiamate o andate al pronto soccorso ostetrico.
Quindi cosa avere a portata di mano?
Il numero del vostro ginecologo, del vostro reparto, la cartella della gravidanza e i documenti principali. Dalla 34ma settimana in poi anche la valigia per il cambio in caso di eventuale ricovero improvviso (molto improbabile).

Sostegno psicologico.

In questi giorni, ne ho parlato all'inizio, sono tante le persone che potrebbero accusare sintomi di tipo psicologico. Le cause sono tante. I ritmi diversi, l'isolamento, la monotonia, la mancanza di moto, di Sole e di rapporti sociali.
È normale, non preoccupatevi, però in gravidanza bisogna fare un po' più di attenzione. Se i sintomi che accusate sono molto vaghi (senso di disorientamento, nervosismo, noia, leggera ansia, leggera insonnia) si possono facilmente superare razionalizzando il momento che si sta vivendo. Con i consigli che ho dato prima, pianificando la giornata, tentando un contatto con altre persone (telefonico, virtuale, in video chiamata, via internet), con l'attività fisica e altro.
Una cosa che tende ad aggravare questi disturbi è la mancanza di sonno o l'alterazione dei ritmi "sonno-veglia". È importante quindi mantenerli il più possibile, ricordando che ci sono alcune cose che conciliano il sonno (impegnarsi in qualcosa prima di dormire, dalla lettura al riordino di esami e cartella, un film rilassante, un concerto di musica classica) mentre altre che tendono ad allontanarlo (luci eccessive, stimolazione dei riflessi con giochi del tablet o del PC, film d'azione...).

Se invece il disturbo ansioso è più importante (si capisce perché ci condiziona, cambia la nostra visione della vita e il ritmo giornaliero) è il caso di chiedere una mano.
Esistono due modi: parlare con uno psicologo direttamente se si conosce o se ne ha uno personale o sfruttare le tante iniziative che stanno mettendo in campo molte aziende sanitarie e lo stesso ministero con alcuni ordini professionali. Non posso ovviamente essere informato su tutte le iniziative nazionali ma si può chiamare in reparto per sapere se c'è un servizio disponibile o previsto che in genere è gestito dal distretto sanitario di ogni azienda oppure cercare su internet che forse è più comodo. Altrimenti ci si può rivolgere:
- Numero verde Croce Rossa Italiana (sostegno psicologico e telecompagnia): 800.065510
- Società Psicoanalitica Italiana.
- Ordine degli psicologi.

E qui un'utile guida antistress per i cittadini.
Oppure chiedere a uno dei tanti servizi delle varie ULSS.
Per esempio qui per l'ASL3 ligure, qui per l'ASL1 di Cuneo, qui per l'ASL di Asti, qui per l'Abruzzo e qui per l'ASSL 2 Marca Trevigiana.

Oddio come mi sono ridotta!

Ma no. Certo che stare a casa può avere un effetto collaterale. Non avendo "l'obbligo" di apparire in pubblico qualche donna potrà evitare il trucco, la cura del corpo o del viso, si tenderà a "lasciarsi andare", "tanto chi vuoi che mi veda": errore!
Non bisogna cadere in questo circolo vizioso. Ovviamente stando a casa non ha senso vestirsi da sera o in abiti eleganti (anche se questo può essere un "gioco" particolare, magari per far divertire i bambini se si hanno figl i. Ad esempio una sera si può organizzare una cena con menù con tanto di appuntamento e, senza preparare grandi piatti complicati, vestirsi eleganti, apparecchiare in maniera sontuosa e presentare tutto come per una grande occasione (provare per credere, è divertente) ma la cura della propria persona in questi casi è fondamentale.
Per esempio dopo essersi alzati la mattina non restare in pigiama ma vestirsi normalmente, dilungarsi in cure personali (visto che abbiamo tempo preferire il bagno, profumato, alla doccia veloce), pensare alla cosmesi, la cura della pelle, del viso, del corpo e dei capelli. Profumarsi (pulirsi, ovviamente), dilungarsi nei piaceri che spesso trascuriamo perché sempre di corsa o con poco tempo. Una nota particolare: non è possibile fare tinture per capelli. Non esiste quella "naturale" o "non dannosa" ed essendo a casa non si ha molta scelta se non quella limitata delle tinture per capelli da supermercato, che contengono sostanze assorbite per via cutanea, non velenose, sono in quantità minime, ma potenzialmente tossiche in gravidanza. Se succede nulla di drammatico ma, nei limiti del possibile, meglio evitare.
E per la casa, per renderla un luogo sicuro e non a rischio, pulire con sanificanti a base di ipoclorito di sodio, tipicamente la candeggina e l'Amuchina. Importante: aerare bene le stanze, sia di regola che, a maggior ragione, dopo aver usato questi disinfettanti.

Il parto.

Non cambia molto perché certamente non si partorirà a casa (per chi non vuole). I reparti prevedono in genere un percorso per il parto che in questi casi è praticamente identico, non è stato certo cambiato. Rimangono i monitoraggi da fare a fine gravidanza, i controlli, qualche reparto prevede la compilazione della cartella clinica e se c'è da programmare il parto (per esempio un'induzione del parto o un cesareo) la procedura sarà la stessa. Anche in questo caso bisogna conoscere le procedure dei singoli reparti, quindi se già non l'aveste fatto fatelo, chiedete, informatevi. Poi la valigia con il necessario, per chi è a termine o vicino al termine, presumo sia già pronta, altrimenti questo è il momento giusto per prepararla (il tempo non manca, vero?). Con la valigia pronta sarete a posto.
Ricordate che se avete già raggiunto le 37 settimane siete già a termine, quindi contrazioni o parto, non c'è nulla di strano, succede ed è normale. Al contrario se si avessero dei sintomi prima della 37ma settimana potrebbe essere più importante andare in reparto al più presto. Dopo la 41ma settimana ci avvicineremo alla data ultima della gravidanza, oltre la quale (in genere alla 41+3 settimana) in molti casi è opportuna l'induzione del parto.
Non c'è nessuna indicazione per un cesareo in caso di donna in gravidanza con Covid. Non c'è nessuna evidenza che il virus passi nel latte materno.
C'è sempre la possibilità di chiamare in reparto per parlare con un'ostetrica o, se ci fosse bisogno, con un medico. Un dubbio può sempre sorgere e chiedere è sempre utile.

Chissà quante cose ho dimenticato. Ricordate che ho scritto questa breve (e figuratevi se fosse stata lunga!) guida alla gravidanza nell'epoca del Coronavirus in "urgenza", perché so che serve subito, quasi di getto, quindi perdonerete qualche dimenticanza o qualche argomento non approfondito come dovrebbe. Questa versione è preliminare, nei prossimi giorni, anche grazie ai vostri suggerimenti, potrei ampliarla, arricchirla e aggiungere link e riferimenti.
A qualche domanda potrei rispondere anche nei commenti ma ricordate: diagnosi e terapie non si fanno on line. Parlate con il vostro ginecologo.
Tutto si risolve comunque, non siete abbandonate, è solo un periodo un po' così che passerà. Una cosa è sicura, ne avrete di cose da raccontare a vostro figlio in arrivo. :)
Alla prossima e forza!

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lunedì 23 marzo 2020

Coronavirus. L'aereo.

Coronavirus: in mezzo all'esagerata mole di informazioni, notizie e pareri, molta gente (comprensibilmente) non sta capendo più nulla.
Inizialmente tutti minimizzavano, qualcuno parlava di tragedia in corso. Poi l'allarme è diventato panico ora quasi caos totale.
Questo non serve, non fa bene a nessuno e non aiuta né chi deve lavorare né il cittadino.
Una delle conseguenze è che si passa dall'indifferenza totale, all'estremo opposto, il panico incontrollato. Quello che non conosciamo ci spaventa. Sempre.
Allora oggi non voglio scrivere l'ennesimo post pieno di dati, di notizie sul Coronavirus, sull'epidemia ma su un aspetto che tanti cominciano a non avere chiaro.
Qual è il problema?
Perché questa epidemia sembra mettere in ginocchio le nostre abitudini, sicurezze, normalità?
Aziende chiuse, vita ferma, nessuno per strada: cosa sta succedendo? Questa malattia è così terribile, tanto terribile da obbligarci a stare a casa? Ma se è così terribile, perché non ce lo dicono?

Ecco, quanti di voi sicuramente si siano fatte queste domande. Io mi limiterò a rispondere a una, una di quelle più frequenti.
Perché tanto allarme?

La malattia (Covid-19) causata da questo virus (SARS-Cov-2) è una malattia in linea di massima non grave. Causa sintomi simil influenzali (rinite, febbre, sintomi gastrointestinali, sintomi respiratori) che però possono diventare molto gravi fino a complicarsi con una polmonite che è sicuramente impegnativa potendo risultare anche letale. Un'altra caratteristica abbastanza abituale in molte infezioni da virus è che queste risultano molto più aggressive e rischiose nelle persone con problematiche di salute e a rischio. Le persone anziane quindi, come coloro che hanno una o più malattie (ipertensione, diabete, cardiopatie, tumori e altro) sono molto più soggette a complicanze anche gravissime.
Queste, se fate caso, sono le stesse preoccupazioni di tante altre malattie infettive, con alcune differenze fondamentali. Per la maggioranza delle malattie infettive non ci sono molte cure efficaci (fanno eccezione l'AIDS e l'epatite C, per la quale oggi c'è una nuova cura efficacissima). Tutta la medicina si basa sulla prevenzione. Malattie come l'influenza o il morbillo quindi sono prevenibili perché abbiamo dei vaccini che ci consentono non solo di proteggere la singola persona ma anche la comunità (meno persone infette meno contagi). Questo non vale per Covid-19. È già un problema.
Il secondo problema è che questa malattia non la conoscevamo e non la conosciamo. È arrivata perché un virus che colpiva gli animali ha fatto un "salto" e ha iniziato a colpire l'uomo. Questo lo rende subdolo. Non sapevamo cosa causasse (ora lo sappiamo un po' meglio), che caratteristiche avesse, come si propagasse e così via. Un nemico sconosciuto non è mai un nemico semplice da battere e questo ha, nei confronti di quelli che conosciamo, molte differenze.
Una tra tutte è la contagiosità (la capacità di contagiare gli altri, quante persone ne contagia una con la malattia) che, in epidemiologia, si indica con un valore R0 (erre zero). Ogni malattia infettiva ha un suo R0. L'influenza stagionale, ad esempio, ha una contagiosità di 1,3 (una persona ne contagia 1,3). Il Coronavirus ne ha una di 3 (un infetto ne contagia 3). Poca differenza, vero?
No. Questo significa che in poco tempo l'influenza farà pochi contagiati (ne farà tanti nel tempo se non limitata), il Coronavirus ne farà tantissimi subito. Per capirci ancora meglio:
Se una persona con l'influenza contagia 1,3 persone, dopo 10 passaggi (quindi le 1,3 persone ne contagiano altre 1,3 e così via...ovvero 1,3^10) avremo 14 contagiati.
Se un persona con Covid-19 contagia 3 persone, dopo 10 passaggi avremo 59.000 contagiati.
Così forse è più chiaro.

Il terzo problema, forse il più grave, è che tutto questo è successo in pochissimi giorni. L'influenza stagionale, che è sempre molto subdola e rischiosa (e in certe stagioni fa letteralmente strage di persone) si "spalma" in un periodo variabile ma che in genere dura 5-6 mesi. Nel 2019-20 ha causato circa 7 milioni di contagi con 8000 morti diretti e indiretti. Non male.
Ma questi casi, anche nella peggiore delle ipotesi, sono curati, ricoverati, rianimati, in quel periodo di sei mesi già ricordato.
In questo caso abbiamo avuto invece un numero più basso di contagi (solo per questioni di tempo) e complicanze, tutte concentrate in due mesi e improvvisi.
Capisco che si tratti di un dato difficile da visualizzare. Qualcuno infatti, quando l'ho spiegato,  mi ha chiesto cosa cambiasse avere 2000 casi in un mese o in tre mesi. Non è facile spiegarlo. Ci provo con un esempio, quello dell'aereo.

Lo prendete l'aereo per viaggiare? Quando lo prendete, non avete mai un po' di paura o dubbio? Mai mai?
Ammettiamo di averne un po', pochissima, solo perché "volare" è certamente innaturale, non normale. Non dico terrore o paura di volare, proprio quel leggero brivido prima di salire, che dura un attimo. Poi sparisce.
Perché?
Perché pensandoci, razionalizzando, si capisce che l'aereo è un mezzo sicurissimo, tra i più sicuri tra i mezzi di spostamento. Cadono gli aerei, ci sono gli incidenti ma sono già pochissimi e, soprattutto in relazione al numero di voli aerei, sono davvero l'assoluta minoranza. Certo, quando c'è un incidente aereo è terribile, tante persone morte in un unico istante, immaginiamo la loro paura, non avere grandi possibilità di salvezza ma meno  male, succede proprio pochissime volte, possiamo dire "quasi mai".
Avere paura dell'aereo è irrazionale, non è giustificato e per questo lo usiamo e con tanta tranquillità.
Nel 2019 sono avvenuti solo 9 (!) incidenti aerei. Su più di 35.000.000 di voli. Praticamente un'inezia. Niente paura quindi, se oggi partisse il vostro volo aereo potete stare tranquilli, molto ma molto probabilmente non cadrà, anzi possiamo dire con sicurezza che quasi sicuramente non cadrà.


Mettiamo che, per una sconosciuta (come il nostro virus) e strana combinazione, tutti gli incidenti aerei di un anno avvenissero nell'ora di partenza del nostro. Un incredibile evento imprevedibile, inaspettato, concentrerà i 9 incidenti aerei che normalmente avvengono nell'anno (nel mondo!), proprio in quel momento nel quale saremo in volo noi e proprio tra quelli che partiranno dal nostro aeroporto di partenza. Ma forse anche se ipotizzassi che questo strano avvenimento non riguardasse solo l'aeroporto di partenza ma la nostra intera nazione.
Avremmo la stessa tranquillità? No.
Si potrebbe dire "è molto difficile che l'aereo cadrà"? No, non è più molto difficile, è sempre raro succeda (circa 8000 voli al giorno in Italia con 9 incidenti)  ma succede spesso e potrebbe succedere proprio a noi. Ho fatto un conto (molto vago, veloce, tanto per rendere l'idea) e ogni 74 aerei uno cadrà, uccidendo tutti. E succederà per 9 volte.
Che dite? Lo prendiamo questo aereo in quell'ora?
Forse non precipiteremo, non è così facile ma quel giorno sarà meglio stare a casa: a casa.

Ecco, con questa epidemia è successa una cosa simile. In senso relativo (perché anche un morto è già un dramma) pochi casi, pochi morti, poche complicanze ma tutte in uno stesso momento, poco ampio che rende i casi tantissimi e difficili da gestire e se non fermassimo il contagio, la malattia continuerà a mietere vittime in abbondanza.
Questo ha causato saturazione delle strutture di cura, dell'organizzazione sanitaria che si è trovata in difficoltà per curare chi è stato colpito dalla malattia (e praticamente senza cure), delle strutture di ricovero e organizzative. Insomma un duro colpo.
Questo non ha solo creato problemi per curare i malati di Covid-19 ma anche gli altri.
Perché per uno strano meccanismo mediatico, ci siamo dimenticati di tutti gli altri, dei malati cronici, dei pazienti in rianimazione da mesi, di quelli colpiti da malattie acute, infarti, degli incidenti stradali, ictus. Un vero disastro. Ecco perché è grave quello che sta succedendo e dobbiamo fermarlo, ecco perché è un problema serio e preoccupante, ecco perché stiamo a casa. Volere uscire, volere continuare a fare la vita di prima, equivarrebbe a voler prendere un aereo che unico tra 74 cadrà, non per forza sarà il nostro ma c'è una buona possibilità possa esserlo, meglio andare a piedi.

Non so se mi sono spiegato ma il dramma, fondamentalmente, è tutto qui.
L'aereo cade sempre ma stavolta ne sono caduti tanti nello stesso giorno, meglio stare a casa.

Alla prossima.

lunedì 9 marzo 2020

Coronavirus: cosa sta succedendo?

Nonostante cerchi di continuare a parlare di altri argomenti ormai (ovviamente) le cronache e le discussioni sono tutte incentrate sull'epidemia da Coronavirus. Di notizie ce ne sono tante, troppe e forse anche questo alimenta confusione e incertezza.
Come sempre credo che i dati siano la base migliore dalla quale partire.

Abbiamo un virus nuovo. Questo lo rende interessante dal punto di vista scientifico (per ovvi motivi), subdolo da quello clinico (non conoscendolo non sappiamo cosa possa causare).
Essendo un virus che si diffonde ormai da settimane (prima in una regione confinata, la Cina, poi in tutto il mondo), cominciamo ad avere qualche notizie in più. Certo, la valanga di notizie, pareri, opinioni e lanci d'agenzia non ha aiutato nessuno e parole come "epidemia", "pandemia", "zona rossa", "quarantena", sembrano uscite da un film apocalittico e possono fare paura, cosa che non giova. Ma allora, cosa sta succedendo? Cosa possiamo dire e cosa sappiamo oggi?

Sappiamo per esempio che la malattia causata da questo virus (si chiama Covid-19, CoronaVirus Disease) causa una sindrome simil influenzale con particolare coinvolgimento dei polmoni. Nei polmoni la malattia può causare una grave polmonite interstiziale che, in certi casi e soprattutto nelle persone a rischio, può essere persino letale. La classe che sembra più delicata e a rischio è quella degli anziani, dai 65 anni in poi con un rischio che aumenta parallelamente al'età (l'età media del decesso dei pazienti positivi al Coronavirus è 81 anni). Nei casi confermati in questa ondata epidemica quasi tutti (i due terzi) i decessi erano di persone con malattie preesistenti.

La letalità (numero di morti tra i contagiati) di questa malattia non è altissima ma nemmeno trascurabile, siamo attorno al 3,5% ma si tratta di un dato discutibile e sicuramente non preciso. Per capirci: molto probabilmente questo numero è in realtà molto più basso perché i contagiati sono solo quelli che risultano positivi al test per la presenza del virus. È molto probabile che molti (moltissimi?) positivi non sono mai stati rilevati perché con pochi sintomi e quindi non si sono mai resi conto di essersi ammalati. Se i contagiati (reali) fossero, come probabile, molti di più, la letalità sarebbe notevolmente più bassa (forse simile a quella dell'influenza stagionale). C'è da dire un'altra cosa importante, legata alle fasce d'età. Come ho scritto, questa malattia è più pericolosa per le persone più anziane (a maggior ragione oltre gli 80 anni). Se consideriamo la letalità per fasce d'età vedremo che negli over 80 avremo 10,9% di letalità (altissima), mentre nella fascia 0-65 anni di età è dello 0,5% (bassissima). Come notate, questi dati bisogna saperli leggere e, anche sapendolo fare, possono essere molto variabili.



Il dato della letalità generale (che sembra maggiore rispetto alla Cina contro quella delle varie fasce d'età), è una nota distorsione statistica dovuta al fatto che da noi ci sono più anziani, si chiama "Paradosso di Simpson".
Detto questo c'è un grosso problema. Il virus, come tanti virus e come in tante epidemie, non "chiede il permesso" per infettare. Ha un'alta contagiosità (più di altre malattie infettive) e quindi se "entra" in una popolazione rischia di infettarne larga parte. Per popolazione, in epidemiologia, non si intende per forza una nazione o una regione ma "un gruppo". Il virus può infettare una regione, una "macroregione" (il nord Italia, ad esempio) o una nazione intera ma anche di più.

Così è successo in Cina. Moltissimi contagiati, in pochissimo tempo e, anche se la letalità fosse bassissima, le vittime potrebbero essere tantissime (su grandi numeri, anche una piccola percentuale è in ogni caso numerosa).

Questo, a prescindere dalla gravità dei sintomi della malattia, oltre a fare vittime, sovraccarica le strutture sanitarie. Migliaia di persone si riversano al pronto soccorso, centinaia di ricoverati, tanti in rianimazione. Serve personale, farmaci, posti letto, macchinari. Quando questo succede in sei mesi (come per l'influenza) si riesce a sopportare l'impatto (e supportare tutti), quando questo avviene in un mese potrebbe far crollare tutto. E poi diventa una reazione a catena.
Se i reparti di rianimazione fossero pieni di pazienti con polmonite da Coronavirus, non potrebbero ricevere persone in insufficienza renale, con un infarto, chi ha avuto un incidente, una donna che ha avuto un'emorragia post partum, un uomo che ha avuto un ictus con conseguente diminuzione dell'assistenza, delle cure e quindi un aumento senza precedenti della mortalità e delle complicanze, oltre che un peggioramento improvviso e pesante del livello delle cure.

Ecco, il vero, principale rischio di questa epidemia è questo.
Un contagio veloce, della maggior parte della popolazione metterebbe a rischio il sistema sanitario e questo non sarebbe un problema solo relativo all'epidemia ma a tutto il resto.
A tutto questo si aggiunge il fatto che il virus è veramente pericoloso (come detto prima) nelle persone più anziane, cosa tipica delle malattie infettive a maggior ragione se con sintomi respiratori. Sono loro gli individui da proteggere perché, colpiti dalla malattia, avrebbero conseguenze gravi se non irreparabili.

E allora? I provvedimenti di contenimento e mitigazione? Le "zone rosse"?
Sono doverose.
Proprio per evitare quello che ho detto. Hanno funzionato, spesso funzionano e quindi dobbiamo usarle.
Questo ci consentirà (nello scorso articolo ho fornito qualche spiegazione e pure la letteratura scientifica a supporto) di diminuire i casi il più possibile e, in ogni caso, di "spalmare" quelli che hanno bisogno di cure, diminuire il numero dei contagiati e quindi delle complicanze, evitare il contagio di persone fragili (anziani su tutti) e curare tutti, fino alla fine dell'ondata epidemica. Se non riuscissimo a contenere il numero di persone bisognose di cure si potrebbe assistere al collasso del sistema sanitario. L'obiettivo delle misure di contenimento e mitigazione, è proprio quello di limitare il più possibile (annullarlo è praticamente un'utopia) la contagiosità del virus e la cosa più evidente (anche da studi che hanno analizzato il caso cinese) è che le misure devono essere severissime, rigide e rispettate, altrimenti saranno praticamente inutili.


Vari scenari. Il valore R0 indica la "contagiosità" del virus. Se è molto alta o anche solo alta, potrebbe determinare il collasso dell'assistenza medica. Se la abbassiamo a valori molto più bassi questo collasso sarà almeno ritardato e contenuto. Unica soluzione quindi è quella di diminuire i contagi e subito.

Il punto da capire è riflettere sulla conseguenza tra rischio individuale e rischio di popolazione (grazie a Luca De Fiore che mi ha fatto riflettere su questo punto decisivo). Questo può servire per fare capire a tutti, anche a chi non si rende conto della necessità delle misure di contenimento nonostante si parli di una malattia non grave, che siamo in un momento decisivo.

Il rischio individuale di questa malattia (quindi il rischio che corre ogni persona, ogni singolo di ammalarsi e avere gravi danni dalla malattia) è basso. Bassissimo. Non significa nullo e non significa che non morirà nessuno, anzi.
Il rischio di popolazione (le complicanze in generale, il peso su strutture mediche e lavoratori della sanità, lo stress sulla popolazione) è alto, altissimo.
Capita questa differenza le cose saranno messe al loro posto più giusto.

Per capirci ancora meglio.
Il rischio di ammalarsi oggi di difterite, in Italia, è molto basso, quasi nullo (anche perché ci vacciniamo). Ma allora perché ci vacciniamo ancora obbligatoriamente e ci battiamo per le vaccinazioni?
Perché il rischio di popolazione è molto alto. Basterebbe UN caso di difterite per causare un caos totale, rappresenterebbe un problema di salute pubblica molto grave. La malattia è gravissima per tutti, soprattutto per le persone più fragili (bambini, anziani, immunodepressi), quindi l'obiettivo non è avere "pochi casi" (sarebbe un dramma!) ma zero. Neanche uno. Per questo, nonostante non si parli di una malattia diffusa, siamo così impegnati per mantenerla tale. Non farlo non è solo rischiare (poco per se, tanto per gli altri), non solo causare dolore e sofferenza (anche a una persona è sempre tanto) ma anche dimostrare un egoismo e una superficialità altissimi, oltre che un bassissimo senso civico. Le malattie infettive, tutte, influenza compresa, sono per definizione pericolose e dannose e se fino a oggi non lo abbiamo capito è perché abbiamo i vaccini, le cure, le strutture sanitarie. Nel caso del Coronavirus non abbiamo vaccini, cure e le strutture sanitarie rischiano di non reggere l'impatto.

Ecco, la situazione attuale quindi non è un'apocalissi in corso e nemmeno sono prevedibili o pensabili stragi, si dovrà convivere per un po' con un problema che poteva accadere ed è accaduto. Calma e sangue freddo.

Tutto il resto, lo spettacolo al quale abbiamo assistito in questi giorni, tra cui urla, il panico, il terrore sono invece ingiustificati, inutili, pericolosi. Sono la conseguenza di un mondo virtuale, connesso, nel quale tanti cercano una finestra dalla quale affacciarsi o farsi notare.

Cosa ci aspetterà?

Un'epidemia ha un decorso quasi sempre tipico. Un aumento dei casi lineare (pochi casi, continuamente), poi esponenziale (tanti casi improvvisamente), poi si arriva al picco epidemico (tanti casi, il massimo raggiunto), una stabilizzazione (i nuovi casi restano simili per numero per un po' di tempo) per poi arrivare a un calo progressivo. Questo succede perché il virus trova sempre meno persone da infettare e condizioni sempre più sfavorevoli alla sua diffusione (più o meno dopo un 15%-20% di popolazione colpita si ha un picco epidemico).
Probabilmente anche questa volta succederà questo e l'obiettivo è proprio quello di arrivarci nel migliore dei modi.

Cosa fare quindi?
Seguire con attenzione e precisione i consigli delle istituzioni sanitarie.
Essere educati e rispettosi degli altri limitando i contatti e i comportamenti a rischio.
Evitare luoghi affollati.
Igiene ripetuta soprattutto delle mani.

E poi calma, serietà, razionalità.

Alla prossima.


Nota: Alcuni servizi utili.

Aggiornamento dati, protezione civile.
Solidarietà digitale. Servizi e facilitazioni per chi si trova in zona rossa.

martedì 3 marzo 2020

Coronavirus: cosa dobbiamo fare?

Stiamo vivendo, proprio in questi giorni, un'epidemia virale. Una malattia, chiamata Covid e causata da un virus appartenente alla famiglia (molto numerosa) dei Coronavirus.
Causa normalmente di raffreddori e sindromi parainfluenzali nell'uomo (e di altre malattie negli animali), questo di cui parliamo è in realtà un nuovo ceppo che per l'uomo non era mai stato causa di malattia. Probabilmente passato da un animale all'altro e poi, modificatosi ("mutato", un processo che avviene spessissimo nei virus) passato all'uomo.

È proprio questa la prima caratteristica di questo virus (e, forse, il primo pericolo): non lo conosciamo.
Non sappiamo bene cosa causi, non abbiamo esperienze passate e il nostro organismo non è mai stato a contatto con lui e quindi non ha nessuna difesa "pronta" per contrastarlo.
In più, la battaglia contro le malattie virali è molto difficile. Non ci sono cure, quando ci sono spesso funzionano poco e quello che possiamo fare è prevenirle (con un vaccino) o curarne i danni. In questo caso manca anche il vaccino (proprio perché "nuovo" non lo abbiamo mai preparato) e quindi non ci rimane che aspettare, vedere cosa succede e riparare i danni.

Le malattie virali sono sempre, più o meno dannose. Questa malattia sembra essere simile all'influenza (la malattia è una sindrome simil-influenzale, ha sintomi molto simili come tosse, dolori articolari, stanchezza, febbre) ma in particolare può causare una polmonite (infezione dei polmoni) che può complicarsi e diventare davvero subdola e pericolosa.
Ma come possiamo contrastare questa epidemia?

Sicuramente le prime misure sono quelle igieniche, fondamentali:

- Pulizia delle mani (già con acqua e sapone, meglio con disinfettanti), ripetuta.
- Igiene generale e degli ambienti, aerandoli spesso. Disinfestazioni e disinfezioni di spazi aperti e pubblici sembrano poco efficaci e dannosi per ambiente e persone.
- Evitare luoghi affollati e con contatti troppo ravvicinati e luoghi chiusi per troppo tempo.
- Non stare a contatto con soggetti a rischio o ufficialmente ammalati.

Ovviamente non è sempre facile seguire tutte le norme di sicurezza, serve impegno ma a volte non si riesce. Quelli elencati sono comportamenti della persona, che ognuno di noi può applicare, dipendono dalle nostre abitudini e dalla nostra volontà ma come ridurre in generale, in una popolazione, il rischio di contagio?
Ecco, per limitare le epidemie (più contagiati ci sono, più malati, più danni sociali ed economici, più decessi, complicanze, problemi, spese, posti letto occupati). serve prendere anche delle contromisure sociali, generali, nella popolazione.

Una delle più note e importanti è il "distanziamento sociale" ovvero, come dice la frase stessa, tutti quei gesti che diminuiscono la possibilità che tante persone si trovino assieme e molto vicine e quindi che aumenti la possibilità di contagio e che, anche in caso di contagio, questo avvenga tra meno persone possibili.
Un esempio: se una persona è malata e si trova in un'aula universitaria con trenta persone probabilmente contagerà almeno una quindicina di esse che poi, a loro volta (dipende dalla contagiosità del virus) ne contageranno altre. Se la stessa persone si trova in una discoteca con 300 persone ne contagerà 60 che, a loro volta, ne contageranno altre ma, come si può capire, il secondo caso è molto più dannoso e rischioso del primo.
Per questo il distanziamento sociale è considerato una pratica utile e da considerare in caso di epidemia e questo sta succedendo anche da noi in Italia. Scuole chiuse, riunioni e manifestazioni rimandate e poi distanziamento volontario. Le persone, spontaneamente, per precauzione (e per paura, a volte) evitano i luoghi pubblici, gli ospedali, gli assembramenti.
Ma il distanziamento sociale serve? E in particolare, come andrebbe fatto?
Proviamo a vedere se qualcuno ha studiato il fenomeno.



In caso di epidemia è chiaro che la logica ci dice che evitare eccessivi contatti e rischi di essere vicini a qualcuno che sia stato infettato dal virus siano un mezzo utile per limitare i contagi. Il problema è che ha un fortissimo peso sociale e economico.
Socialmente distanzia le persone, i rapporti, le amicizie, addirittura le parentele. Gli alunni non hanno più contatti, spesso nemmeno di gioco. Non è positivo. Le comunità più forti sono quelle unite, non quelle disunite o che evitano i contatti e sia per gli adulti che per i giovani i danni possono essere importanti. Economicamente, è chiaro, evitare di uscire, di frequentare posti affollati o di ritrovo, determina grandi perdite economiche per chi ha attività nei servizi, nel campo del ristoro, dello svago, del commercio in generale ma anche dei piccoli commercianti. Attività che fanno della "folla" una fonte di guadagno.
Allora cosa si può fare?
Abbiamo visto che anche il nostro paese ha adottato delle misure (prima tra tutte la chiusura della scuola nelle zone più a rischio) che si possono definire di "distacco sociale".
Vediamo le varie misure una per una.

Chiusura delle scuole.

Sembra che la chiusura delle scuole abbia una certa efficacia e per bilanciare l'efficacia nel limitare i contagi con il danno della mancata frequentazione delle lezioni da parte degli alunni, le scuole dovrebbero essere chiuse per il minor tempo possibile. Più o meno con chiusure settimanali al limite da rinnovare secondo le esigenze. L'efficacia di questo provvedimento è moderata e alcuni studi sembrano mostrare una buona capacità di ridurre la trasmissione di malattie influenzali con risultati incoraggianti come una riduzione di trasmissione della malattia, un ritardo del picco dei casi (che aiuterebbe a gestire meglio l'epidemia) di una o due settimane e una riduzione delle ondate epidemiche (meno picchi nelle regioni colpite). In media, secondo le varie modalità di epidemia e di chiusura delle scuole (misure "proattive" cioè prima che vi sia un focolaio epidemico, a scopo preventivo e "reattive", cioè in risposta a casi già presenti) l'efficacia della chiusura è moderata, va dal 7-12% di riduzione dei casi di contagio o nelle stime più ottimistiche fino al 50% 

Ci sono però anche studi (di meno) che non notano differenze tra ondate epidemiche con chiusura delle scuole e senza chiusura. Grandi differenze tra le stime statistiche (i "modelli" creati dagli studiosi) e i risultati nella vita reale, probabilmente perché gli studenti, anche a scuola chiusa, non restano chiusi a casa e frequentano altri posti pubblici riducendo l'impatto della chiusura scolastica.
Come si vede, almeno le stime, non notano un effetto importantissimo ma davanti a un allarme anche una lieve riduzione del danno è già qualcosa.
Tra i problemi causati dalla chiusura delle scuole ci sono quelli sociali del mancato contatto tra compagni di classe, il ritardo nel programma di studi, i costi economici legati alla chiusura (riorganizzazione trasporti, mantenimento climatizzatori, riposo operatori della scuola, comunicazioni e contatti con le famiglie) e la gestione della famiglia (sono state calcolate fino al 45% di assenze dal lavoro di uno o due genitori per gestione dei figli che non andavano a scuola).

Chiusura uffici.

La chiusura di luoghi di lavoro e uffici è davvero difficilmente praticabile. Si tratterebbe in pratica di un blocco totale delle attività di un paese. Non solo in caso di chiusura di uffici pubblici (poste, servizi elettrici, gas, telefonici), centralini e simili ma anche in caso di chiusura di uffici privati. Si tratterebbe di una misura estrema e che alla fine non sembra neanche così efficace, visto che sono pochi gli uffici (pubblici o privati) dove vi sia un grande assembramento di persone, tranne per alcuni uffici pubblici che però possono prendere alcuni accorgimenti per evitare contatti continui con il pubblico (vetri separatori, barriere, mascherine, distanza e altro).
Alcune stime dicono che, se in una classica epidemia influenzale il 18,6% della popolazione è contagiato, se restassero chiusi il 10% dei posti di lavoro questa soglia diventerebbe 11,9%. Quindi un risultato non eccezionale ma accettabile. Se invece chiudessero il 33% dei posti di lavoro, quella soglia diventerebbe il 4,9%, questo sì un risultato eccezionale. Questo significherebbe che per avere un impatto positivo ed efficace, dovrebbero stare chiusi almeno un terzo dei posti di lavoro.

I danni di questa eventuale chiusura sarebbero enormi e facilmente immaginabili. Oltre a quelli già immaginati per gli uffici pubblici si dovrebbe pensare anche al danno economico nazionale e agli approvvigionamenti di beni e servii per la popolazione in un momento (quello dell'epidemia) di difficoltà.

Telelavoro.

Lavorare da casa. Questo espone il lavoratore a meno contatti pericolosi e il gruppo nel quale lavora abitualmente a rischiare di meno. Lavorando da casa (quando possibile, con connessioni telefoniche o informatiche) il lavoratore ha un rischio molto basso di ammalarsi. Il telelavoro ha un'efficacia moderata nel ridurre le epidemie, uno studio effettuato in Giappone ha mostrato una riduzione del 20% dei casi di contagio influenzale, un altro americano ha notato come chi ha un familiare malato, lavorando da casa, riduce del 30% il rischio di trasmettere la malattia ad altre persone. A questo si aggiunge che questa formula di lavoro è in genere ben accetta e gradita. Il principale problema è la difficoltà di organizzazione di alcuni lavoratori e, in alcuni casi, la difficoltà di connessione informatica. Si tratta comunque di una soluzione che ha un buon impatto sulla riduzione dell'epidemia.

Isolamento (o quarantena) volontario.

È un provvedimento moderatamente efficace. Sicuramente tra tutti i modelli di quarantena, quello più utile è l'isolamento dei soggetti che sono venuti in contatto con un infetto. Sembra che queste forme di contenimento siano utili soprattutto per ridurre e ritardare il picco di casi. C'è però una cosa da prendere seriamente in considerazione: i soggetti isolati in gruppi sono (ovviamente) ad altissimo rischio di contagio e non ci sono differenze se questi soggetti sono isolati in ambienti singoli o separati (abbiamo avuto un piccolo esempio di cosa succede anche in questa epidemia, con la nave da crociera isolata prima dell'attracco che è diventata un piccolo focolaio epidemico). In caso di isolamento quindi bisogna prepararsi all'evenienza di un piccolo gruppo di contagiati preparandosi. Tra i provvedimenti da prendere in caso di isolamento di gruppi è importante il sostegno fisico e psicologico di questi gruppi. Il periodo di isolamento dipende dalle caratteristiche dell'epidemia considerata, può variare da un periodo di una settimana a due ma anche più e un altro punto è proprio definire il periodo corretto di quarantena per evitare confusioni e disorientamento (per esempio zone diverse che fanno quarantene diverse).

Cancellazione di spostamenti di massa.

Sarebbe uno dei provvedimenti forse più efficaci nel ridurre l'espansione dei contagi. Anzi, si può facilmente capire come, se si vietassero gli spostamenti da un posto all'altro, soprattutto nelle grandi distanze, non solo si isolerebbero i focolai di epidemia ma si eviterebbe che questi si diffondano in posti lontani dal focolaio originale. Ma questo è oggi possibile? La risposta è no. Non solo è impossibile perché richiederebbe un blocco immediato e improvviso (l'efficacia viene persa se si ritarda solo di pochi giorni) ma praticamente totale. Sicuramente le persone dovrebbero essere preparate e incoraggiate (e sostenute) nell'evitare spostamenti importanti ma non necessari, in ogni caso questo provvedimento, serio, ha dei limiti. Per essere efficace, un provvedimento del genere dovrebbe prevedere almeno il 50% degli spostamenti (viaggi aerei, treni, mezzi di trasporto cittadini e extraurbani) cancellati. Con le conseguenze che si possono immaginare. Direi improponibile.

Conclusioni.

A conti fatti il distanziamento sociale, una delle armi più diffuse (e tra le poche) per contrastare epidemie di malattie infettive ha una bassa efficacia ma sembra avere comunque un certo impatto nel ridurre l'entità e la gravità di una epidemia. Per questo, in mancanza di altre soluzioni e soprattutto in caso di urgenza di intervento, i vari mezzi di distacco sociale possono essere presi in esame. Punto fondamentale di tutte queste misure è che vanno applicate appena possibile, subito. Un ritardo può renderle meno efficaci o completamente inutili.
Dagli studi effettuati sembra che la chiusura delle scuole per il minor tempo possibile (una settimana rinnovabile secondo le esigenze), il telelavoro per ridurre il numero di persone presenti in uno stesso luogo di lavoro e l'isolamento volontario, rappresentino i mezzi più praticabili e efficaci di distacco sociale.

Alla prossima.